‘Fiore mio’, l’anima del Monte Rosa secondo Paolo Cognetti

Lo scrittore - Premio Strega 2017 - scrive, dirige e interpreta il film di pre-apertura di Locarno77, documentario dedicato alla bellezza evidente e all’essenza intima dell’ambiente montano, raccontato anche con la suggestiva colonna sonora di Vasco Brondi. Il film esce al cinema 25, 26 e 27 novembre


LOCARNO – È la Natura pura la prima a far capolino verso lo spettatore: ancora sui titoli di testa, ancora su nero, cinguettii lievi e allegri, rumore di acqua selvatica che scorre; così, il contesto, si disegna subito nell’immaginario di chi guarda/ascolta. Forse perché un po’ te lo aspetti, forse perché un po’ te lo immagini, ma quell’ensemble di rumori diegetici non c’è dubbio non possa essere un qualsiasi sfondo sonoro d’esterno: vive lì per imprimere subito la personalità d’atmosfera del racconto. Poi, appena l’immagine prende il sopravvento, ecco lo spettacolo visivo, la bellezza evidente della montagna, con il Monte Rosa protagonista.

È, però, un altro rumore che fa fare un passo ulteriore dentro al doc: “toc toc, toc toc”; quello che sembra il ripetuto suono del bussare anticipa lo spalancarsi sulla storia di Fiore Mio, scritto, diretto e interpretato da Paolo Cognetti (Premio Strega 2017 con Le otto montagne, tradotto in oltre 40 Paesi e da cui il film omonimo, a Cannes 2022 insignito del Grand Prix della Giuria), pre-apertura di Locarno77 e al cinema il 25, 26 e 27 novembre.

Nessuno bussa a nessuno, Paolo Cognetti, se stesso in scena, a cavalcioni in cima al tetto della sua casa di montagna, sta martellando per fissare decori colorati tra le pareti esterne. S’alternano, a più riprese, dettagli dell’ambiente: primi e primissimi piani di germogli e rugiada non sono vezzeggiativi del luogo ma restituiscono la perfezione e la magnificenza della Natura, finché s’inserisce il rumore del passo umano, che s’imprime tra la terra e la neve, macchie intermittenti di manto bianco: è qui che conosciamo il co-protagonista del film, Laki, l’inseparabile cane dell’autore, mentre – fianco a fianco – camminano in salita.

Sembra un mare candido la distesa nevosa su cui Laki e Cognetti procedono, l’uno si strofina il capo a mo’ di gioco, l’altro si china, l’accarezza, la neve, ne cerca la consistenza, vuol cercare di capire qualcosa… di quella forma dell’acqua. Fin qui nessuna parola umana ma, al suono naturale, s’aggiunge quello strumentale di Vasco Brondi, che ha curato la colonna sonora, gradualmente sempre più suggestiva; oltre alle musiche originali, Brondi ha scritto e interpretato una traccia dedicata, Ascoltare gli alberi, che chiude il film, mentre Fiore mio, presente nel finale e ispirazione del titolo, è da tempo una delle canzoni più popolari di Andrea Laszlo De Simone (Premio César 2024 – Migliore Musica Originale di Animal Kingdom: il primo italiano a essere insignito del riconoscimento).

Fiore Mio ha indubbiamente l’anima del documentario perché nella visione si susseguono inquadrature di spaccati di Natura innocente: lastre di ghiaccio controsole, fatte della stessa sostanza che poi Cognetti tocca a bordo di un ruscello e rende friabile sotto le sue mani; gli stambecchi, come marmorizzati pois scuri sui pendii, o il vento che solletica il musino di una marmotta quasi mimetizzata; una limpidezza dell’acqua così estrema da commuovere; la forza petrosa delle punte delle rocce che si stagliano come lance immobili in primo piano e con lo sfondo del cielo a contrasto. Cognetti, con questo doc, rinnova il suo dichiarato amore per la montagna ed è come se volesse mostrare, in un’ennesima modalità, questa “femmina” complessa e per questo così affascinante, con cui da tempo intrattiene una strettissima relazione, di cui cerca – anche qui – di restituire l’anima, insieme alla propria: bellezza, mistero e rivelazione, imprevedibilità e gelosia, morte.

“C’è gente, a Milano, che pensa che il Monte Rosa si chiami così perché diventa rosa al tramonto”: sono i dialoghi, gli intercalari dei pensieri ad alta voce e il ricorrere a qualche suono dialettale, gli scambi verbali, a portare poi avanti la spina dorsale del documentario, con Cognetti centrale e una corolla di esseri umani locali a fare da abbraccio a questo racconto della montagna, che emerge anche da considerazioni come questa, un po’ romantica, un po’ ironica, certamente tutt’altro che veritiera, tratto invece assolutamente proprio della montagna.

Cognetti – non se ne fa mistero nel doc – cerca di capire perché l’acqua manchi da casa, “ho voglia di ghiacciaio, quest’anno” dice in un passaggio, come se fosse la ricerca di un piacere, che probabilmente è, ma Fiore Mio, così, si rivela anche un doc che, senza la pretesa di critica, di retorica, di soluzione, a suo modo però porta in scena l’attualissima questione della crisi climatica, proposta anche con un’interessante racconto spirituale che ha come volano lo yoga.

Fiore Mio è una produzione Samarcanda Film, Nexo Studios, Harald House e EDI Effetti Digitali Italiani con il sostegno della Film Commission Vallée d’Aoste; dopo l’uscita italiana sarà distribuito in tutto il mondo da Nexo Studios.

 

 

 

 

 

 

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