Elisabetta Sgarbi: memorie di confine

"I nomi del signor Sulĉiĉ ricostruisce la memoria di momenti terribili, legati a un periodo molto duro, soprattutto per il popolo sloveno" spiega la regista. Distribuisce Luce Cinecittà


TORINO. “Risvegliare la memoria non è sempre un bene”, “I segreti uccidono la verità”. E’ tra queste due massime, citate nel suo nuovo lavoro I nomi del signor Sulĉiĉ , che sembra oscillare il film di finzione di Elisabetta Sgarbi, presentato nella sezione Festa Mobile, coprodotto da Rai Cinema e distribuito a inizio 2019 da Luce Cinecittà. Al TFF l’anno scorso la Sgarbi aveva partecipato con L’Altrove più Vicino. “Quello ero un mio personale viaggio in Slovenia – spiega la regista, scrittrice e fondatrice del festival La Milanesiana e della casa editrice La nave di Teseo.- I nomi del signor Sulĉiĉ è una storia di fantasia in parte ambientata ancora in Slovenia. Terre che mi hanno sempre ispirato. Il racconto si sviluppa intorno a due figure, un uomo e una donna che scoprono, scavando in un passato sopito, di non essere come pensavano di essere, che nella loro vita c’è del falso”.

Prologo del film con una ricercatrice universitaria che giunge a Trieste per trovare notizie su una donna seppellita nel cimitero ebraico. Da qui  prende il via una ricerca, tra Italia e Slovenia, con protagonista Irena (Lučka Počkaj), una donna slovena, che insieme alla sua amica più giovane Ivana arriva in un luogo remoto del Delta del fiume Po, dove vive Gabriele, un valligiano la accoglie nella sua casa curioso e affascinato da questa figura femminile. Irena lascia di proposito a Gabriele pochi indizi utili a ritracciarla: il nome di una località di confine tra Italia e Slovenia, Tolmin (Tolmino, quando era italiana).Gabriele, attratto da Irena, cerca di avere sue notizie, e alla fine decide di intraprendere un viaggio, in compagnia di un amico, per incontrare di nuovo la donna. Un viaggio scomodo grazie al quale scopre avvenimenti a lui sconosciuti finora sull’identità dei suoi genitori, su se stesso e sulla donna che ha improvvisamente sconvolto la sua tranquilla esistenza. Un viaggio nella memoria personale e collettiva, tra identità vere e false, padri e figli, veri o presunti tali, spie naziste, fascisti, partigiani, milizie di Tito.

“Dentro la sceneggiatura ci sono molti elementi autobiografici anche se è una storia che non ho vissuto ovviamente per ragioni d’età, ma che contiene momenti precisi della mia vita – afferma l’autrice – la mia casa ferrarese, il cimitero dove sono sepolti i miei genitori. Inoltre nel testo ci sono citazioni di scrittori, tra cui quella in chiusura , ‘Portami via la memoria e non sarò mai vecchio’, tratta dalla memoria orale di mio padre che citava sempre questo poeta dialettale, Alfonso Ferraguti”. La frase è citata dal personaggio di Gabriele che rifiuta la verità, di cui viene a conoscenza, riconsegnandola così alla sorella. Del resto tutto il film è volto sia a ricostruire la memoria di momenti terribili, legati a un periodo molto duro, soprattutto per il popolo sloveno.

Per Eugenio Lio, che fìrma la sceneggiatura insieme alla Sgarbi, il racconto ha preso le mosse da una scena madre di una donna che bussa alla porta di una casa in una valle remota sul delta del Po. “Chi è stato in quei luoghi sa quanto remote possono essere quelle valli in pieno inverno, nella nebbia più profonda. Un isolamento rotto da questa donna che è portatrice di una verità a Gabriele, un uomo che è la persona più lontana da quella verità. Perché questo essere remoti non è solo geografico ma è anche culturale e storico. In quella valle nulla si sa di quegli eventi, il protagonista mai sospetterebbe della verità che lo riguarda”.

Ci sono nel film anche due camei di Claudio Magris e di Giorgio Pressburger, poco prima della sua scomparsa. E torna in alcune sequenze Trieste, già luogo centrale ne Il viaggio della signorina Vila. “Mi sembrava che Trieste, città che è stata contesa dagli Alleati e dal popolo jugoslavo, una terra dove sono passati molti odii, fosse lo sfondo giusto per una storia votata alla ricerca di una verità, di una identità precisa”. Non a caso la regista ha voluto fare una premessa nel film chiedendo a Roberto Herlitzka di interpretare il custode della meravigliosa sinagoga di Trieste, Paolo Graziosi ne è invece il rabbino. “Trieste è una capitale della cultura europea, crocevia storico fondamentale per capire chi siamo, non è una città, ma uno spazio culturale ampio che comprende Austria, Slovenia, Croazia, Italia”, conclude la Sgarbi.

25 Novembre 2018

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