Elisa Fuksas: “Vacanze romane. All’Eur”


“Firmare un’opera prima in Italia non è difficile, è difficilissimo”. Lo dice con un sorriso sincero Elisa Fuksas, un cognome che la dice lunga sull’eredità artistica che si porta dietro. Nina, il suo primo film per il cinema, ha avuto una menzione speciale all’ultimo festival di Bari e dal 18 aprile è nelle sale con Fandango. Questa storia di una bizzarra ragazza che, nella calura deserta di agosto tra le architetture iperrazionali dell’Eur, fa una serie di singolari incontri, è sorprendente per almeno due motivi. Il primo, una cura formale al limite del maniacale e una potenza visiva impressionante, con fotografia, scenografia e costumi impeccabili. Il secondo, una storia lunga otto anni alle spalle fatta di tentativi produttivi, insuccessi, crisi, ipotesi, ripensamenti, riadattamenti e ridefinizioni continue di location, cast e storia.

Elisa, ci racconta com’è iniziata l’avventura produttiva di “Nina”?
Dunque, all’inizio mi seguiva la Paco Cinematografica di Isabella Cocuzza e Arturo Paglia, poi abbiamo trovato un co-produttore per il Canada. Era il tempo in cui sognavo di raccontare la storia di una rockstar in crisi, chimera narrativa che si è infranta contro una serie interminabile di problemi. Per farla breve: niente coproduttore canadese, sono tornata in Italia dove per fortuna Magda Film con Silvia Innocenzi e Giovanni Saulini ha rilevato il progetto. Paco Cinematografica è rimasto solo in piccola percentuale, poi è intervenuto anche Rai Cinema. Conoscevo da tempo Carlo Brancaleoni, avevamo anche lavorato insieme per un documentario e mi era capitato di interpellarlo per consigli d’autore.

Dopo la parentesi canadese come mai ha corretto il tiro e scelto di raccontare proprio la storia di “Nina”?
Persi tutti i soldi canadesi, non nego che sulle prime fossi disperata: non volevo più girare, volevo anzi mollare tutto, poi ho parlato con Domenico Procacci e lui mi ha suggerito di ripensare il film e farne un’opera prima italiana. Ero stremata, venivo da anni in cui preparavo copioni diversi in lingue diverse cercando di mantenere una credibilità su ciò che volevo raccontare. Ci ho riflettuto, da una parte mi sembrava un tradimento: io volevo qualcosa di internazionale, mi faceva tristezza rimanere a Roma dopo aver girato tanto in Europa e nel mondo. Poi mi sono detta: già non ci sono soldi, non posso perdere anche questa occasione. Alla fine ho riscritto tutto in un mese e mezzo.

Per modo di dire o per davvero?
Davvero: ho scritto ad aprile e iniziato le riprese ad agosto. Visto che avevo poco tempo, e sentivo l’esigenza di trovare un senso, ho pensato di dover raccontare una storia necessaria tra le tante che mi frullavano per la testa da tempo. Alla fine ho lavorato su di me, sulle mie insicurezze, ed è uscito fuori Nina, film che considero molto personale: chi mi conosce mi ci rivede moltissimo.

 

Cosa la colpiva della sua protagonista Diane Fleri e come l’ha diretta?
E’ un’attrice talmente espressiva che potrebbe quasi non parlare. Ogni tanto si lamentava perché abituata ad un altro tipo di lavoro, con me ha fatto tutto da sola. Mi spiego, non sono il tipo che lascia spazio al caso: vedo mille volte un luogo, poi inizio a disegnare e a capire bene ogni cosa nel dettaglio. L’attore arriva sul set a cose fatte, quando tutto è pronto. A quel punto lo lascio libero e poi, se non va, ci lavoro insieme.

Con Luca Marinelli ha seguito lo stesso iter?
No, lui per tre giorni l’ho fatto solo camminare! Povero, ci scherzavamo spesso su. In effetti il suo era il ruolo di un uomo che insegue la protagonista. Si è rivelato un attore talentuoso e disponibile, ma anche un tipo molto divertente, pronto a ironizzare anche su questo suo continuo “passeggiare”.

Ha già idee sul suo prossimo film?
Sì, lo sto scrivendo con Chiara Laudani, lo produrrà Carlo degli Esposti. Si tratta di una commedia corale e sociale, con un impianto visivo definito come quello di questo mio primo film. Perché l’immagine per me deve essere innanzi tutto bella e curata.

10 Aprile 2013

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