Don Cheadle: jazz a Berlino

BERLINO - L'attore, Premio Oscar per 'Hotel Rwanda' esordisce come regista nella sezione Berlinale Special Gala con 'Miles Ahead', ritratto appassionato del trombettista Miles Davis.


E’ lui stesso a interpretarlo. L’azione si svolge alla fine degli anni settanta, dopo molti anni che Davis è assente dalle scene. Vive da recluso nel suo appartamento dell’ Upper West Side. La sua unica compagnia è quella della cocaina, e raramente lo si vede senza una sigaretta o un bicchiere in mano. Sta pianificando un ritorno sulle scena, ma la sua privacy è disturbata da un giornalista di Rolling Stone (Ewan McGregor). I produttori tengono nascosti i nastri delle sue registrazioni recenti e si sospetta che ci sia qualcosa sotto. Inoltre, Miles è tormentato dal ricordo del suo primo grande amore, la ballerina Frances Taylor.

Perché ha deciso di ritrarre Davis proprio in quel momento così particolare della sua vita?

Perché il momento di crisi è quello più interessante. Immagini un tipo così produttivo, così brillante, così creativo, così all’avanguardia che a un certo punto cade nel silenzio e sperimenta il vuoto artistico. E’ come un de marcatore. Ho usato l’opportunità per fare con il mio media quello che lui faceva con il suo. Volevo fare un film che ‘fosse’ Miles Davis e non si limitasse a mostrarlo. Non un documentario ma un ritratto eroico ed espressionista.

Ha usato molte parole forti…

Era lo stile di Miles. Diceva ‘fottuto’ in continuazione, anche come termine elogiativo. Poteva essere fottuta una persona, una canzone, fa parte del personaggio.

Ha dovuto accettare dei compromessi per realizzare questa pellicola?

Non avevo i diritti di tutte le musiche, quindi sì, ho dovuto mettere un po’ d’acqua nel mio vino, ma ho focalizzato su altri aspetti. La musica serviva solo come chiave per la storia. Ad esempio mi piace mostrarlo mentre suona anche il piano.

E’ stato difficile dirigere e interpretare?

In alcuni passaggi sembravo schizofrenico, ad esempio mentre dovevo litigare con Frances e al contempo dare all’attrice le indicazioni per le reazioni, perché non avevamo avuto tanto tempo per le prove. Entravo e uscivo dalla realtà per passare alla finzione. Però la sceneggiatura era perfetta e questo mi ha permesso di fare con agio entrambe le cose. Avevo chiesto inizialmente ad altri registi di farlo al posto mio ma tutti mi hanno detto: ‘Ehi, è roba tua. Il film lo devi fare tu. Buona fortuna!”. Una parte importantissima l’ha svolta il montaggio. Era musicale. Ho cercato di farlo come l’avrebbe fatto Miles e ho l’impressione che vedere il film gli sarebbe piaciuto e avrebbe detto ‘che fottuto capolavoro!’.

Come ha scoperto la musica di Davis?

Era la colonna sonora della mia vita. Lo ascoltavano i miei genitori. Da ragazzo suonavo il sassofono, quindi è un argomento che mi stava molto a cuore. Nel film sono io a suonare gli assoli. Dove c’erano le registrazioni di Davis abbiamo lasciato quelle ma mi è piaciuto anche imparare un nuovo strumento. In fondo anche questo è un modo di sperimentare.

Ha utilizzato anche il crowdfunding per raggiungere la cifra necessaria…

Ho iniziato le riprese senza avere tutti i soldi necessari per terminarle. Così abbiamo lanciato la campagna su Indiegogo e abbiamo raccolto 70mila dollari. A Miles sarebbe piaciuto, considerava la sua musica ‘sociale’.

La presenza di McGregor è dovuta alla necessità di avere una star bianca nel cast?

Penso che McGregor sia fantastico e non credo certo che il film sarebbe venuto meglio senza di lui. Sì, fa parte del mestiere. I film senza attori bianchi si vendono poco all’estero, è una questione di finanziamento, quindi per raggiungere l’obiettivo questo e altro.

Le è piaciuto fare il regista?

Molto. Ma dirigo già un mio show e ho realizzato diverse pubblicità quindi non era una novità totale. Soprattutto farlo su questo argomento, mi è piaciuto. Riportare Miles con tutte le sue sfumature, i suoi errori. Era la sua musica a guidarmi.

18 Febbraio 2016

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