Danis Tanović verso Venezia

Alla Mostra veneziana il regista bosniaco spera di portare 'White Lies', il nuovo lavoro immaginato otto anni fa, ambientato in Pakistan ma girato in India. Il film è una coproduzione India e Francia


LECCE. Alla Mostra di Venezia Danis Tanović spera di portare White Lies, la nuova creatura immaginata ben otto anni fa dal regista bosniaco, a cui il Festival del cinema europeo dedica una retrospettiva, a partire dalla tragicommedia No Man’s Land, che gli fruttò 60 premi tra cui l’Oscar come Miglior Film Straniero nel 2001.
White Lies, una coproduzione India e Francia, racconta la storia di un uomo comune – interpretato dalla star di Bollywood Emraan Hashmi –  che resta intrappolato in una rete aziendale e la lotta contro questo gigante aziendale costituisce il cuore del film. Ambientazione in Pakistan, ma set in India, a Patiala, dove la situazione è stata più favorevole e semplice per una troupe.
A Venezia Tanović c’è già stato una volta con il film collettivo 11’09”01 – September 11 che vinse il Premio Unesco. “Quello che odio del Lido di Venezia sono quei ragazzi in pantaloni corti che mangiano chewing gum. Sono per il vestito nero elegante alle proiezioni, mi piace la formalità di Cannes. Voi italiani avete creato la moda: avete mai immaginato un uomo elegante come Marcello Mastroianni in shorts”.

Tra i progetti futuri dell’artista c’è una produzione americana da girare però in Europa. “Ho un invito aperto per andare a Hollywood, ma non c’è ancora una storia che valga la pena dirigere, sto trattando. Negli Usa  è tutto più semplice, dipende dai soldi che entrano ed escono, e se c’è guadagno è presto fatto. Mia moglie dice che un film è una seduta psicoanalitica molto costosa”.
Il cinema italiano? E’ un grande estimatore di Bernardo Bertolucci. Cita La strategia del ragno, Il conformista e Novecento con quella scena per lui così familiare dell’uomo che grida ‘La guerra è finita!’. “Sono cresciuto con i film di Vittorio De Sica, di Lina Wertmüller. Ricordo che mio padre mi proibiva di vedere i film in tv a tarda sera e io di nascosto l’osservavo ridere guardando Mimì metallurgico“.

Il regista ricorda l’esperienza di due anni dietro la macchina da presa al seguito dell’esercito bosniaco, con una troupe che faceva riprese durante la guerra in Bosnia. “Quando Sarajevo è stata assediata avevi tre possibilità: scappare, nasconderti o fare qualcosa. Mi sono unito alle forze militari della città e ho scoperto che nessuno filmava quanto stava accadendo, così ho preso e utilizzato le attrezzature della scuola di cinema che allora frequentavo. Quanto girato veniva dato gratuitamente alle televisioni, a chi lo richiedeva per informare. Per noi era importante che il mondo sapesse. In una situazione del genere prevale una sorta di etica. E poi c’era una convinzione un po’ superstiziosa: che se avessimo venduto quel materiale saremmo morti”.
Anche se durante quei reportage dal teatro di guerra era concentrato e quasi immune da quello che riprendeva con la videocamera, ricorda l’immagine di un ragazzo dal viso bellissimo e dal corpo straziato, senza braccia e una gamba, vivo per miracolo. “Ecco perché non rivedo quelle sequenze, l’emozione e la rabbia sarebbero troppo forti”.
Quanto alle speranze espresse l’altro ieri proprio a Lecce dalla regista bosniaca Jasmila Žbanić sulla protesta antinazionalistica dei giovani bosniaci, Tanovic commenta ricordando una battuta di No Man’s Land: “Per il pessimista, no non può andare peggio; per l’ottimista, sì può andare peggio. Io sono ottimista”.

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