Daniele Ciprì e la cinica famiglia Ciraulo


Forse presto sentiremo parlare di nuovo del convincente esordio, senza Franco Maresco, di Daniele Ciprì, ben accolto in sala, nonché della straordinaria interpretazione di Toni Servillo e dell’intero cast di E’ stato il figlio, tra i quali c’è il cileno Alfredo Castro. Un premio sembra a portata di mano per il primo titolo italiano passato in Concorso, per questa storia tutta siciliana che comincia con toni grotteschi e si chiude con un potente finale da tragedia greca.

Fonte primaria l’omonimo romanzo realista (2005) dello scrittore palermitano Roberto Alajmo, che è stato coinvolto nella riscrittura del soggetto. Cuore della vicenda, narrata da un signore solitario e trasandato che trascorre il suo tempo in un ufficio postale, è una famiglia povera siciliana, o meglio palermitana. Madre, padre, i nonni paterni e i due figli, il giovane Tancredi e la piccola Serenella. Unica fonte di reddito è il capofamiglia che rivende il ferro vecchio delle navi in disarmo. La morte improvvisa della figlia, vittima innocente di una sparatoria tra bande rivali, getta nello sconforto i familiari, ma offre, paradosso, la speranza di un mutamento delle loro misere condizioni di vita grazie a un risarcimento che lo Stato riconosce ai morti per mafia. Quel denaro contaminerà sempre più i Ciraulo, e porterà sconfitta e rovina, a cominciare da quella Mercedes, simbolo della miseria della ricchezza.

 

“La famiglia Ciraulo è governata da leggi arcaiche che confinano con gli smarrimenti di una società consumistica”, sostiene Servillo che per la prima volta ha visto il film e ha provato grande emozione per il suo finale così intenso e forte. E sempre Servillo parla dello struggimento vissuto come spettatore di fronte all’offesa arrecata all’infanzia, la piccola Serenella, e alla gioventù, il ragazzo Tancredi, mentre si affacciano alla vita con la speranza di un futuro che viene brutalmente cancellato.

E’ stato il figlio, coprodotto da Passione e Babe Films in collaborazione con Rai Cinema e Palomar, sarà distribuito da Fandango dal 14 settembre.

Prima volta da regista senza al suo fianco Franco Maresco.
La separazione da Franco è avvenuta dopo 24 anni d’amicizia. Ci sono il dolore che non rimuovo e il ricordo che mi porto dietro e spero che così sia anche per lui. Io ero un artigiano delle immagini e ho continuato ad esserlo, ho un immaginario grazie al quale creo la mia storia, la mia favola. Confesso che al principio non volevo girare questo film, non mi convinceva, avevo paura. Quando ho accettato, ho chiamato Roberto dicendogli che avrei trasformato un po’ il suo romanzo, ma mantenuto il suo registro potente.

Il denaro, il possesso della ‘roba’ sono il motore della vicenda?
Mi sono basato sull’economia, sui soldi che dovrebbero portare il bene e invece portano il male, il sangue. Ho eliminato tutto quello che è nel contemporaneo, ho eliminato la televisione che il povero nonno non vede mai. Non voglio fare morali, ma quando c’è di mezzo il denaro si spaccano pure le famiglie. Nel caso dei Ciraulo il bene diventa male. Come oggi che c’è gente che si massacrerebbe per premi ricchissimi.

Il film non è stato girato nella sua isola, come mai?
Ci sono state delle difficoltà in Sicilia, ma per loro, difficoltà legate a cambiamenti di persone. Certo mi sarebbe servito un appoggio, ma comunque non pensavo al film in Sicilia, per lo meno lo progettavo in posti per loro inusuali. Non ho avuto nessun problema a scegliere un altro luogo, sicuramente Palermo non l’avrei neppure inquadrata.

 

E allora ha scelto la Puglia.

Ho trovato qualcosa di simile a Brindisi, merito della produttrice Alessandra Acciai. Avevo bisogno di qualcosa che disegnasse Palermo: le case popolari di periferia. E ho trovato una forma migliore, una bella arena, in un quartiere che si chiama ‘Paradiso’ paradossalmente. Del resto all’inizio dissi che volevo girare il film in Russia, perché volevo un quartiere alla Tarkovsky.

La scelta di Toni Servillo?
Nicola era il personaggio più difficile e importante, non necessariamente siciliano. Ho fatto numerosi provini, ma i miei produttori avevano l’idea fissa che il Nicola perfetto fosse Servillo. Io dentro di me dicevo: neppure mi calcolerà. E invece al telefono mi ha detto che conosceva tutto il mio lavoro ed era incuriosito dal film. Da lui è venuta subito la proposta della camminata. Perfetta gli ho detto, è quella di un mio zio e mi evoca una Palermo dell’infanzia con la sua gestualità.

 

Un cast sulla scena che rivela una perfetta sintonia.

Ho cercato di accordare gli attori, ma da subito sono stati una famiglia. Loro mi hanno scritto il film per immagini. Era importante avere un’armonia, poi i volti e la bravura di attori professionisti, più che mai necessari in questa storia, attori per lo più palermitani, meno conosciuti.

01 Settembre 2012

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