Svedese di origine cilena, Daniel Espinosa si è fatto notare in patria nel 2010 con la sua terza regia, il thriller Easy Money. Nel 2012 ha esordito a Hollywood con Safe House, primo di quattro progetti consecutivi in lingua inglese (gli altri tre sono stati Child 44 nel 2015, Life nel 2017 e Morbius nel 2022).
Ora è tornato in Europa con Madame Luna, co-produzione tra Svezia e Italia che debutta a Rotterdam nella sezione Limelight ed è anche uno degli otto lungometraggi selezionati nel concorso principale di Göteborg. Il film è basato sulla vera vicenda di una rifugiata venuta in Italia dall’Eritrea e coinvolta in questioni di criminalità organizzata in Calabria. In occasione della prima mondiale, abbiamo intervistato Espinosa via Zoom.
Com’è stato tornare in Europa dopo dieci anni di produzioni hollywoodiane? Aveva bisogno di ricaricare le batterie?
È stato liberatorio, ma all’inizio mi è venuta un po’ d’ansia perché non ero più abituato ad arrivare sul set e non essere circondato da altre dieci persone con cui devo litigare per difendere le mie scelte. Avevo bisogno di ritrovare me stesso, il mio linguaggio cinematografico, che si è evoluto nel corso degli anni. Però sì, è stato un sollievo. Avrei potuto girare dieci Madame Luna, e sarebbe stato comunque meno faticoso rispetto a Morbius. Questo è senza dubbio il mio film più personale.
Com’è stato girare in Italia?
Era importante per me lavorare nei luoghi in cui si è svolta la vicenda, catturare quella realtà. Anche se nel corso delle ricerche ci siamo imbattuti in varie storie ambientate in quel contesto, quindi la sceneggiatura è una pluralità di voci trasformate nella vicenda della protagonista.
Immagino però che la battuta sulla confusione tra Svezia e Svizzera venga da lei, giusto?
Sì, quella è mia, lavorando in America mi è capitato spesso che mi chiedessero se fossi di Ginevra, e io rispondevo “No, sono svedese.”
Per la sceneggiatura ha lavorato con Maurizio Braucci. Cosa può dirci della collaborazione?
È uno dei motivi per cui mi sono interessato al progetto quando me l’hanno proposto, perché Gomorra ai tempi ha segnato la mia generazione, è stata un’esperienza folgorante. Mi colpì quell’approccio quasi documentaristico al racconto di gangster, e ammiro molto la scrittura di Maurizio.
Ci sono altri film italiani che le stanno particolarmente a cuore?
Ho visto gli altri film di Matteo Garrone, che sono molto ben fatti, ma trovo che da Dogman in poi abbia virato verso un approccio fiabesco che non è del tutto nelle mie corde, lo preferisco quando mette in scena il realismo sociale. Amo molto quel regista calabrese, che ha fatto quella specie di trilogia, come si chiama…?
Jonas Carpignano?
Esatto! L’ho conosciuto perché abbiamo lo stesso agente americano, e amo moltissimo il suo lavoro, in particolare A Chiara e Mediterranea. Mi piace anche il cinema di Alice Rohrwacher, quello di Luca Guadagnino, e ho apprezzato Rapito di Marco Bellocchio. E il mio film del cuore, il motivo per cui sono regista, è C’eravamo tanto amati di Ettore Scola.
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