Ornella Muti e Michele Placido: “il cinema è glamour”

I due artisti - ospiti del 42TFF in occasione del 50mo anniversario di 'Romanzo Popolare' di Mario Monicelli - ricevono la Stella della Mole. Placido, celebrando il nuovo corso del Festival, commenta: “basta con gli autori, ci hanno rotto i coglioni! ‘Il cinema è un'arte popolare’, lo diceva anche Guido Gozzano”


TORINO – Lei è Vincenzina Rotunno, lui Giovanni Pizzullo: Ornella Muti e Michele Placido, 50 anni dopo “il film che ha rilanciato la commedia d’autore” – come lo racconta Giulio Base, direttore del 42TFF – sono ospiti a Torino per celebrare il capolavoro di Mario Monicelli, Romanzo Popolare, che usciva nella sale il 29 ottobre del ’74 e di cui – con Ugo Tognazzi (Giulio Basletti) – sono protagonisti di “uno spaccato d’epoca importante”, per l’attrice.

È commedia sì, è altrettanto dramma, la storia di Giulio, operaio milanese di mezza età che s’innamora della ventenne e meridionale Vincenzina: la loro vita di coppia viene scossa quando il mentore del marito, Giovanni, comincia a nutrire interesse per lei , innescando una serie di momenti che mettono alla prova amicizia e relazioni. Il film esplora con ironia e profondità dinamiche sociali e affettive dell’Italia degli Anni ’70. Placido ricorda, di Monicelli, che “come diceva Wilder: è il più grande regista con i tempi migliori, un gag-man con senso della storia sociale”, ma – altrettanto – secondo l’attore e regista “Mario è stato uno che ha lasciato degli eredi, che come lui considerano il cinema come mestiere: così Riccardo Milani è una figura che oggi continua a fare quel tipo di commedia con risvolti sociali, che racconta l’epoca attuale, o anche Massimiliano Bruno con Viva l’Italia!”.

Per Muti l’orgoglio di aver fatto parte di quel film, per quel regista, è vivissimo, seppur si parli di un tempo passato, ma lei spiega: “non mi soffermo mai su quello che mi manca perché tutto evolve, inutile piangersi addosso. I registi con cui ero abituata a lavorare non ci sono più: adesso ti devi uniformare a quello che c’è…”. Certamente, in carriera Muti ha interpretato con versatilità la figura femminile, e così riflette per esempio sulla Valeria incarnata per Marco Ferreri ne L’ultima donna, “un film molto faticoso ma – altrettanto – l’inizio di un tempo in cui si cominciava a un parlare delle donne: è stato difficile interpretarlo ma sicuramente sono più che orgogliosa, perché si parla tanto del tema ma si dimentica anche molto; ho fatto molti film pro-donne, sono orgogliosa, e includo la stessa Vincenzina”.  Poi, aggiunge: “io non ho scelto il cinema, il cinema ha scelto me, e all’inizio ero giovane, inesperta, spaventata… Non è mai stato un sogno, è sempre stato un lavoro, soprattutto quando ero molto più piccola; credo che quando un’adolescente comincia a lavorare purtroppo il mondo dell’innocenza finisca, perché lavori, e quando lavori devi crescere, per cui mi avrà forse tolto  qualcosa, ma pazienza se così fosse, perché m’ha anche dato questo mestiere”, che le ha fatto imparare “il rispetto, perché un film è fatto da un’equipe, che se non è unita e non s’aiuta è faticoso, soprattutto adesso, perché se prima si girava per otto settimane, oggi in quattro si è fuori dal set. Poi il cinema ti permette di crescere incontrando artisti da cui assorbi e così diventi tu più completa”.

Ornella Muti, sul set di Monicelli, arrivava nemmeno ventenne e in dolce attesa della sua prima figlia, Naike: lui, lei lo racconta come “una persona secca, non era uno che mi chiamasse mai ‘Franceschina…’, non era facile ma era fantastico, perché senza sbavature: quando l’ho chiamato e gli ho detto che fossi incinta, lui mi ha detto: ‘non m’interessa, ti sbrigo, lo sappiamo tu e io’ e mi ha protetto per tutto il film. Non mi ha fatto da papà perché credo sia sempre stato uno che su queste cose facesse fatica, ma penso che mi abbia voluto molto bene”.

Le donne (sul grande schermo) della Muti non sono sempre state solo “belle”, solo costruite su un’estetica indiscutibile, considerazione che chiama in causa una riflessione sulla bellezza, tema su cui l’attrice è decisamente concreta e tutt’altro che facilmente compiaciuta: “lungi da me un discorso femminista, ma io non mi sono mai sentita bella, sono sempre stata insicura, non mi sono mai appropriata di quel che vedevano gli altri di me. La bellezza non aiuta e da noi – nel cinema italiano – c’è una scadenza Quelle sulla bellezza sono domande superflue: noi nasciamo, cresciamo, viviamo, invecchiamo, moriamo, è un iter, e bisogna ringraziare il cielo di star bene; certo, mica sono felice delle rughe!”. Questa riflessione porta a cercare di capire anche il suo rapporto tra cinema del passato e cinema attuale, un discorso che Muti reputa “complesso e insidioso, perché io ho lavorato con certi autori e certi attori, facendo un certo cinema: penso a Scola, Monicelli, Risi, erano davvero tanti, mentre oggi ne abbiamo di meno, qualcuno anche fantastico, ma io stessa ho un’età diversa, per cui il mio partecipare al cinema è sempre minore”.

Un discorso, quello della bellezza, che porta Placido a dire la sua, più filosofica e meno estetica, ma altrettanto densa: “a me piace la bruttezza, ovvero gli alti e bassi della vita”. Un discorso – quello qui principale – che, se amplificato, nel tempo odierno certamente può arrivare a toccare l’universo dei social, un luogo in cui per Muti “passa troppa roba, c’è gente che parla a sproposito, e così finisce che la gente sia meno curiosa del rapporto reale tra le persone, viene a mancare il valore dello scambio energetico tra esseri umani”.

Tante, tantissime sono state, dunque, “le donne” portate sulla scena da Ornella Muti, ma quella della regista? Non per finzione, nella realtà, è un ruolo che “sì, mi piacerebbe molto, è un pensiero che un attore ogni tanto accarezza: non è facile fare la regia, ancor meno in questo momento, è un cammino… non mi andrebbe di fare una cosa così così… ma chissà”. Dunque, Muti viene incalzata – pensando a una della altre star ospiti del 42TFF, Sharon Stone, che è tanto attrice, quanto produttrice e pittrice, per cui a Francesca Rivelli ci sono “altre forme d’arte” che interessano? “Forse, la nonna”.

Ornella Muti e Michele Placido, al 42TFF ricevono anche la Stella della Mole, e proprio lui, celebrando il nuovo corso del Festival, parla di “una rinascita, grazie alla coppia Base-Rocca (riferendosi al Direttore e alla moglie Tiziana, ndr): il cinema è glamour – concetto su cui concorda pienamente anche l’attrice. Basta con gli autori, ci hanno rotto i coglioni! ‘Il cinema è un’arte popolare’, lo diceva anche Guido Gozzano”.

 

 

 

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