Claudio Romano: “Il mio Ananke dedicato a Carlo Lizzani”

Anteprima a Pesaro per l'opera prima del 33enne regista, dove un uomo e una donna si rifugiano nell'isolamento delle montagne per sfuggire a un'epidemia di depressione suicida


PESARO – C’è un’atmosfera di fantascienza alla Tarkovskji nell’opera prima di Claudio Romano, inserita tra gli Esordi 2010-2015 che la Mostra di Pesaro sta proponendo nella sua retrospettiva, anzi nella “re-prospettiva” come qualcuno l’ha ribattezzata, proprio giocando sulla presenza di Ananke. Inedito assoluto che il regista 33enne ha girato in due settimane sulle montagne dell’Abruzzo, in un villaggio fantasma. L’idea è che una depressione virale si sia impossessata del pianeta. Basta poco – un qualsiasi contatto umano – per contrarre la malattia che porta al suicidio. Un uomo e una donna si sono rifugiati sulle montagne per scampare al contagio. In assoluta solitudine, nutrendosi del latte di una capra, con l’unico brandello della vecchia civiltà rappresentato da una radio che non trasmette niente, i due sopravvivono al grado zero dell’esistenza a contatto con la natura. Ananke è il nome della capretta ma rinvia al concetto di fato dell’Antica Grecia. “Insieme alla co-sceneggiatrice Betty L’Innocente abbiamo dato voce a un’esperienza personale, un senso di morte che ci accompagna e a cui abbiamo pensato ancor di più quando ci è balenata l’idea di fare un figlio”, racconta Claudio Romano. Che ha iniziato a fare cinema per gioco quando aveva 16 anni. “Ho un padre che dipinge ma io sono negato per la pittura. Mi sono appassionato alla fotografia e, sperimentando qua e là, è venuta fuori l’immagine in movimento che mi ha molto affascinato”.

Si considera un autodidatta?

Certamente all’inizio lo sono stato. Avevo un cd del dizionario del cinema dello Zanichelli, lo scorrevo dalla A alla Z e cercavo di vedere tutti i film, anche l’immondizia. Poi ho iniziato a fare le mie cose, montando con un videoregistratore, infine sono approdato all’Accademia dell’Immagine dell’Aquila. 

Il suo cinema è più vicino alle esperienze di videoarte o di cinema espanso, fuori dal sistema produttivo convenzionale.

E’ un cinema marginale non per mia scelta. Con Ananke mi sono molto impegnato a renderlo fruibile, a fare un film piuttosto primitivo e semplice, che magari abbia più piani di lettura e si rivolga a tutti. 

Cosa pensa del cinema italiano di oggi?
Credo che sia distante dalla vita. I suoi autori sono come i politici: chiusi in una bolla irreale, intrappolati in un mondo di privilegi e vanità. Gli autori che maggiormente stimo sono fuori dal sistema: Franco Piavoli, Mauro Santini, Stefano Odoardi, Franco Maresco, Tonino De Bernardi, Carlo Michele Schirinzi. 

Durante il convegno sugli Esordi, lei ha difeso un’idea di cinema non industriale, in cui, se necessario, si vende l’automobile per cominciare le riprese, come ha fatto Ciro De Caro per realizzare Spaghetti Story.

Mi ha amareggiato al convegno vedere la distinzione molto netta tra due tipi di cinema: quello sperimentale e autoprodotto e un cinema di sistema che è molto attento alle proprie posizioni. Mi fa pensare al Family Day perché non accetta i diritti per gli altri. 

Forse bisognerebbe distinguere il discorso sui finanziamenti da quello sulla libertà artistica. 

Penso che la questione economica dovrebbe essere l’ultimo dei nostri problemi, non ha nemmeno senso parlare di soldi. Molti di noi credono di avere diritto a fare il proprio cinema e quando questi soldi non arrivano ci si lamenta. E’ vero che lo Stato conduce molto male il discorso economico relativo alla cultura, ma questo non può diventare una scusa per non agire in prima persona. 

Lei è riuscito a fare il film senza finanziamenti a un costo complessivo di 50mila euro. Come ha fatto?
L’idea è nata nel 2010 con Betty, la mia compagna e co-sceneggiatrice. Abbiamo scritto una sinossi molto povera e abbiamo mandato delle email a tutti i produttori: zero risposte. Finché Betty ha incontrato Carlo Lizzani che le ha consigliato di rivolgersi a Gianluca Arcopinto, “l’unica persona che può produrre questo film”. Arcopinto all’inizio ha detto che non aveva alcuna intenzione di produrre altri film, ma noi abbiamo insistito e l’abbiamo convinto a incontrarci. Ci ha chiesto una sceneggiatura, che non avevamo e che abbiamo buttato giù in un pomeriggio. Ho aspettato quasi cinque anni prima che lui desse il via alle riprese, nel frattempo mi sono indebitato per 20mila euro. Io per vivere faccio videoclip, spot, filmini di matrimoni: il film è stato prodotto in quel modo. 

Gli interpreti non sono attori professionisti, come li ha scelti? 
Solidea Ruggiero è una scrittrice, Marco Casolino è un artista, fotografo e pittore. Sono entrambi alla prima esperienza. Io credo molto nei non attori. Conoscevo Solidea da qualche anno e la sua dedizione all’arte mi dava molta fiducia. Per me conta più questo delle doti effettive di recitazione. Ed è stata lei a presentarmi Marco. 

Perché li fa parlare in francese con la loro pronuncia italiana?
Credo che la lingua sia come un obiettivo della macchina da presa, ogni lingua ha le sue caratteristiche, il francese è molto dolce, in contrasto con il senso di tutto il film. Mi piace molto giocare con la lingua: una cosa simile è stata fatta da Philippe Grandrieux che ha usato degli attori russi che parlavano malissimo il francese, anche per dare l’idea dell’alienazione, di colui che non ha una lingua. 

Perché la scelta di inquadrare i due personaggi quasi sempre da dietro, non mostrando i loro volti?
Ho cercato di cogliere la vita – per me è questo il cinema – però a una certa distanza e con una certa discrezione, evitando qualsiasi artificio. Mi sono ispirato agli schizzi di David in cui le figure diventano quasi struttura, scenografia, perdono l’identità, diventano un’idea. 

Che percorso distributivo pensa che possa avere il film?
Mi sono affidato ad Arcopinto e gli ho dato carta bianca. Secondo me Ananke potrebbe uscire in sala, ma reputo già un privilegio il fatto che possa essere visto da dieci persone.

Lei cita tra i suoi modelli Bresson, Tarkovskji, Ozu, Welles. C’è qualche autore vivente a cui le piacerebbe mandare il film perché lo vedesse?
Mi piacerebbe che fosse visto da Bela Tarr e Tsai Ming-liang. Avrei voluto farlo vedere a Lizzani, a cui purtroppo ho solo potuto dedicarlo. E anche a Ciro Giorgini, che è morto tre giorni prima di vedere il montato. Mi è stato molto vicino durante le riprese, voleva prestarmi la sua cinepresa degli anni ’60 a manovella.

Continuerà su questa linea creativa?
In cantiere c’è un film che sarà il sequel e il prequel di Ananke. Da una parte vorrei fare un film fluviale, lunghissimo, dall’altra sono affascinato dalla durata breve unita a un ritmo lento come in Ananke, che dura solo un’ora e dieci. 
 

  

Cristiana Paternò
25 Giugno 2015

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