Boyhood, il film lungo 12 anni che merita l’Orso

Applaudito in concorso a Berlino il film di Richard Linklater che segue la crescita di un ragazzo texano dall'età di 6 anni alla maturità


BERLINO – In un concorso piuttosto deludente era molto atteso Boyhood, il nuovo progetto di Richard Linklater, ancor più ambizioso della trilogia Before Sunrise/Before Sunset/Before Midnight, anche perché preceduto da rumors estremamente positivi dopo la presentazione al Sundance. Ed è stato molto applaudito infatti dai giornalisti qui al Festival di Berlino, secondo molti avrebbe già prenotato l’Orso. Girato tra il 2002 e il presente, con una produzione indipendente e del tutto atipica, il film racconta la crescita di Mason, un ragazzo texano, dall’età di 6 anni al diploma, seguendo la crescita reale del protagonista (Ellar Coltrane) e naturalmente l’invecchiare di tutti gli altri. Ma attenzione: Boyhood non è un documentario (come lo era Up di Michael Apted) ma un film di finzione come del resto finzione era Before Sunrise (che qui a Berlino vinse l’Orso d’oro per la regia nel ‘95). Peraltro anche qui troviamo tra gli interpreti (anzi qualcosa di più perché l’attore ha partecipato attivamente al processo creativo) Ethan Hawke nel ruolo del padre del ragazzo, all’inizio totalmente assente dalla vita del piccolo e di sua sorella maggiore Samantha detta Sam (Lorelei Linklater, figlia del regista). L’uomo è andato a lavorare in Alaska dopo la separazione dalla moglie (Patricia Arquette) avvenuta, a quanto si capisce, perché la donna cerca qualcosa di più solido rispetto a quello che lui, musicista hippie e spiantato, può offrirle.

Il film racconta dunque una famiglia allargata e, più in generale, una saga familiare contemporanea, nel suo aspetto caotico e imprevedibile, tutt’altro che epico, spesso buffo e divertente. Evita di dare troppe spiegazioni ma affida la ricerca di senso all’accumulo di esperienze di Mason, condensando dodici anni in quasi tre ore di durata. La mamma decide di trasferirsi in città, ad Austin, e riprendere gli studi di psicologia. Ben presto si risposerà con un professore del college, anche lui con due figli da un precedente matrimonio. L’uomo rigido e piuttosto antipatico, si rivelerà poi un alcolizzato violento. Nuovo cambio di casa, nuovo divorzio e riavvicinamento di Mason e Samantha al padre biologico, che nel frattempo si è risposato e ha una bambina piccola… Quel che emerge dalla narrazione fatta per lo più di eventi banali e quotidiani, è soprattutto l’insensatezza dell’esistenza umana, che di generazione in generazione ripropone gli stessi passaggi. Un sentimento più amaro che dolce sintetizzato dalle parole che la madre, quando Mason, ormai diciottenne, lascia la casa per andare all’università: “Mi sono sposata, ho divorziato, ho fatto carriera, ho cresciuto voi figli, adesso il prossimo passo sarà il mio funerale”.

Per Ethan Hawke Boyhood (confidenzialmente chiamato The Twelve Years Project) ha uno spirito unico al mondo. “Credevo che la serie di Before fosse la cosa più originale in cui mi sarei trovato a lavorare, ma Richard mi ha coinvolto in qualcosa di ancor più strano. Girando ogni anno un breve film con lo stesso ragazzo che cambia e mi fa domande sempre diverse, dai videogiochi a come conquistare una ragazza, e sentir cambiare la sua voce e veder modificare il suo corpo, è stato come scattare una fotografia dell’essere umano”. Aggiunge Linklater: “Volevo scrivere una storia che parlasse dell’infanzia ma non riuscivo a decidere su quale età concentrarmi. Così mi è balenata questa idea: perché non girare ogni anno un pezzo per poter cogliere l’intero processo della crescita. Non è facile, ci vuole molta pazienza, forse per questo nessuno l’aveva mai fatto prima d’ora”. Ovviamente le cose sarebbero anche potute andare per il verso sbagliato, il giovane protagonista poteva decidere di abbandonare il progetto per qualsiasi motivo e c’è sempre stata una buona dose di improvvisazione ma calibrata. Linklater racconta di aver scritto sia i dettagli della sceneggiatura che i dialoghi a più riprese, anno dopo anno, ma di aver avuto in mente il quadro globale e il finale della storia, oltre ad alcuni aspetti cardine della psicologia dei personaggi, fin da subito. Il regista americano confessa che questo film, come tutta la sua opera, ha un aspetto molto personale, quasi autobiografico. “Diciamo che ho mescolato esperienze di mio padre, del padre di Ethan e di me come genitore”. 

13 Febbraio 2014

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