Aprite le frontiere: arriva l’UOMO


Il giorno dopo è consacrato alla visita della Città Proibita e di Piazza Tienanmen. Quello che spaventa è la grandezza dello spazio. E lo stile delle costruzioni: da una parte il palazzo imperiale, su cui giganteggia il ritratto di Mao. Dall’altra, i palazzi in stile staliniano. Al centro l’immenso mausoleo di Mao, dove c’è il corpo imbalsamato. Io e Lionello Cerri vorremmo entrarci. Abbiamo già visto il corpo imbalsamato di Lenin, in anni lontani, e non possiamo fare torto a Mao! Una fila chilometrica ci dissuade. Però nella piazza non possiamo sottrarci all’acquisto di orologi da polso con carica a mano, con immagine di Mao e manina del Grande Timoniere che si muove scandendo i secondi! Potrete riconoscere i membri della delegazione, qui in Italia, guardandone il polso. Tutti ne hanno almeno uno! Segue foto di rito davanti al mausoleo.

Alcuni di noi (non farò nomi!) ci avevano detto che potevamo fare a meno di vedere la Città Proibita. Ma noi ne rimaniamo affascinati, colpiti, emozionati. Il primo approccio, manco a dirlo, è cinematografico. “Dov’è la scalinata di Bertolucci?” Purtroppo è in restauro, coperta, ma la maestosità del luogo lascia senza fiato. Cammini per ore in questi spazi sempre più ristretti ed esclusivi, e ti accorgi di cosa era la Cina prima della rivoluzione. Ma un po’ capisci anche il presente. Evidentemente c’è un’abitudine alla creazione di ristretti gruppi di persone che escludono gli altri. E’ un po’ la sensazione della Cina dell’oggi: tante macchine potenti davanti ai ministeri, grandi parcheggi di biciclette davanti ai luoghi di lavoro. Perché, come diceva Benigni, il problema di Pechino è “il Traffico”. Si resta per ore imbottigliati sulle grandi arterie, con code che nessuno di noi ricorda più, anche quelli che frequentano il GRA all’ora di punta. Ci dicono che a Pechino si immatricolano oltre 1000 nuove automobili al giorno!

Dall’alto del parco Jingsham, alle spalle della Città Proibita, si domina Pechino. Il palazzo dell’imperatore è davvero un’immensa città, vista dall’alto. Tutt’intorno, la città dell’oggi, le macchine e le biciclette. Accanto al parco c’è un laghetto ghiacciato, dove si pattina su rudimentali sedioline di ferro, quelle degli asili di qualche anno fa, montate su binari di lamiera. Alcuni di noi non si sottraggono. Ma la nostra guida Manuela, studentessa sarda trapiantata in Cina, ci porta finalmente in un ristorante tipico e verace. E qui scopriamo la vera cucina cinese. Prima grande notizia: gli spring rolls, che non sono propriamente il piatto tipico, sono caldi, anzi bollenti, all’interno. Non come quelli che solitamente mangiamo in Italia, mal scongelati. E poi: lo sapete che la salsa di soia non si mette su tutti i piatti? Anzi, quasi mai. Capiamo che per i cinesi equivale a quello che per noi è mettere il ketchup sugli spaghetti!
Pomeriggio di shopping nel regno della seta cinese e dei falsi occidentali. E’ genetico: i produttori sono più bravi di tutti a tirare sul prezzo. Vorrà dire qualcosa?

La serata è di quelle importanti: si inaugura “Italiana”, trenta film italiani che mostrano ognuno una regione italiana. All’inaugurazione, discorsi ufficiali di Mr. Blandini (che detto con accento cinese è tutt’un’altra cosa…) e di Mr. Calducci (la erre proprio non ce la fanno a dirla) e poi, le nostre star: Jasmine Trinca e Olivia Magnani. Facciamo bella figura, non c’è che dire. Poi, dalla scalinata della sala del multiplex del centro commerciale (tutto come d’ordinanza!) scende la “sorpresa”: Maria Grazia Cucinotta, mirabilmente fasciata (per fortuna solo in parte) da uno splendido vestito di Armani. Per un attimo ci chiediamo se autentico o rifatto in Cina (il vestito, non la Cucinotta…).

 

Pubblico in visibilio, trionfo del made in Italy. La proiezione (C’eravamo tanto amati) va benissimo, al pubblico il film piace molto. Segue cena dall’ambasciatore, con i piatti tipici delle ambasciate italiane nel mondo. (E’ il ministero degli esteri che fornisce il menù?) L’ambasciatore è più che disponibile, è della categoria che pensa realmente che il cinema esporti anche altro, oltre alle storie che racconta. E’ lui anzi a spingerci a proseguire nella conquista della Cina. Il suo sostegno è assicurato. Buona notizia!

Il giorno dopo è quello più importante. Le star partono per Shangai, dove prosegue il festival, e noi ci imbarchiamo nel più difficile incontro bilaterale a cui abbia partecipato. Buone notizie: grazie alla diplomatica trovata di Mr. Blandini, l’accordo di coproduzione, bloccato dal parlamento italiano per una criptica norma sulla censura, viene finalmente sbloccato. Sarà del pomeriggio la notizia del primo accordo per la scrittura di un film a metà tra Italia e Cina. I trattati funzionano subito!

Poi, il seminario tra le due delegazioni. Abbiamo di fronte i massimi esponenti della cinematografia di Stato, ma sembra un po’ di essere ad una riunione del politburo. Molta forma, molti discorsi ufficiali. Ma soprattutto capiamo che i codici espressivi sono completamente diversi. Mi lancio in un discorso sulla diversità culturale (non preoccupatevi, non ho mai pronunciato le insane parole!) parlando di come, a differenza di Hollywood, le nostre due cinematografie parlino di sentimenti, dell’UOMO. Il traduttore si rivolge al suo vicino italiano e chiede “Chi è quest’uomo di cui parliamo?” Però alla fine, al solito dinanzi ad un tavolo, il clima si scioglie. Grazie ai due vertici istituzionali, c’è un’apertura formale a contatti tra le due cinematografie. Io personalmente, a colloquio con la rappresentante dell’associazione di sceneggiatori cinesi (sono in gran parte insegnanti o romanzieri!) getto le basi per incontri bilaterali tra autori dei due paesi. E poi ci sarà un accordo tra gli archivi italiano e cinese… Certo, fa impressione sapere che in Cina entrano soltanto 50 film stranieri ogni anno, e 25 sono statunitensi. Non si proietta un film italiano in sala da anni, e le vendite, se ci sono, passano quasi sempre via Hong Kong. Fa impressione sapere (fonte Paolo Longo) che a Natale i cinesi hanno bloccato la programmazione di film stranieri per lanciare l’ultimo film di Zhang Yimou. Però il canale è aperto, adesso sta a noi proseguire. Forse sarà più semplice partire da soggetti da elaborare insieme, da film che nascano già coprodotti. O sarà interessante mettere insieme progetti di formazione incrociata. Quello che dà soddisfazione è che non condividiamo affatto le sensazioni dell’imprenditore emiliano, quello che russava in aereo. La Cina ci piace, piena di contraddizioni com’è, e ci piace sempre di più l’idea di allargare i confini, al nostro cinema come ai nostri cervelli. Per potere sempre di più inventare film che parlino dell’UOMO (quale uomo? chi è?), dei suoi sentimenti, l’unico cinema che realmente abbatte le frontiere.

23 Gennaio 2007

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