Andrea Gatopoulos: “Presto l’IA entrerà in tutti i processi del cinema”

Il regista presenta 'The Eggregores’ Theory', cortometraggio realizzato attraverso intelligenza artificiale che apre la Settimana Internazionale della Critica


VENEZIA – Una proiezione in un futuro distopico più vicino di quanto potremmo mai immaginare. Presentato come cortometraggio d’apertura della Settimana della Critica 2024, The Eggregores’ Theory è il nuovo cortometraggio del giovane regista, sceneggiatore e produttore Andrea Gatopoulos, reduce recentemente dal suo primo lungometraggio documentario A Stranger Quest.

Realizzato grazie all’uso dell’intelligenza artificiale, il cortometraggio ci porta in un mondo in cui le parole sono diventante velenose, portando a una nuova terrificante forma di dittatura. Il regista ha montato delle immagini in bianco e nero generate tramite IA con una voce narrante placida e malinconica, riuscendo a compiere un esperimento narrativo di grande suggestione e poesia che ci mostra le potenzialità di una tecnologia che in futuro diventerà sempre più centrale nel lavoro di cineasti e creativi.

Andrea Gatopoulos, è arrivata prima lo spunto di trama o l’idea di realizzare un corto tramite IA?

Scrivo molti racconti brevi e ho sempre dovuto tenere nel cassetto le mie storie di fantascienza perché è molto difficile mettere su il budget per un corto di genere in Italia e probabilmente è anche un investimento insensato. Questo cortometraggio, al di là del riferimento allo stato di sorveglianza post-pandemico, è soprattutto un film sulla censura del linguaggio che c’è stata negli ultimi tempi. L’idea di una parola che diventasse velenosa e quella di utilizzare un alfabeto inesistente, fatto quasi di geroglifici, continuavano a saltarmi alla mente di tanto in tanto. L’arrivo dell’IA mi ha fornito tutti gli strumenti per rappresentare il film come l’avevo in mente, tramite queste immagini che sembrano auto-censurate, rimasticate, difficili da elaborare. Era il mezzo perfetto per raccontare questa storia – e non una scusa.

Come è stato accolto il film?

C’è stata un sacco di resistenza da parte del pubblico, perché molte persone hanno dei forti pregiudizi nei confronti dell’IA. Mi dispiace molto perché il mio obiettivo era prendere questo mezzo e dimostrare che anche con il più digitale degli strumenti è possibile raccontare la condizione umana. Penso tra l’altro che questo atteggiamento pregiudiziale sia molto pericoloso, è esattamente ciò che da spazio ai sistemi di potere per utilizzare queste tecnologie contro di noi. Non c’è nessun luddismo che tenga, l’unica soluzione a una tecnologia del genere è prenderne possesso e consapevolezza subito.

La classica paura verso il nuovo, il non conosciuto?

È la paura del futuro. Viviamo in un’epoca di grande rottura e ogni giorno arrivano notizie dal mondo che sembrano uscite dalla fantascienza. In Afghanistan hanno promulgato una legge che bandisce la voce delle donne in pubblico: non ti sembra una notizia distopica? A Roma hanno appena installato trentamila nuove telecamere di sorveglianza, Venezia stessa è gestita da un sistema di intelligenza artificiale.

E poi c’è la Cina.

Esatto. In alcune parti della Cina se attraversi la strada col rosso ti fanno la multa con un face scanner e ti scalano direttamente i soldi dal conto in banca. Se avessimo scritto queste cose in un racconto di fantascienza ci avrebbero accusato di aver scritto i classici cliché. Invece è la quotidianità. Mi spaventa. Per questo ho fatto questo film.

È stato difficile trovare lo stile giusto e poi replicarlo frame by frame?

Non è facilissimo, perché l’IA ti dà tantissime opzioni e non è facile trovare una consistenza visiva. Però sicuramente non è difficile quanto realizzare un proprio stile d’illustrazione. L’autorialità in questo tipo di film non sta nella creazione delle immagini ma nella capacità di trovare un fil rouge curatoriale, nel metterle insieme. Io non ne rivendico nemmeno la proprietà. Domani le rilascerò tutte in dominio pubblico. Sono generate dalla coscienza umana collettiva e come tali appartengono a tutti. Il merito sta nel trovare questi frame, nel metterli assieme, associarli a un percorso di scrittura.

C’è un grande lavoro di montaggio, anche sonoro. Quanto è stato lungo il processo?

Molto più lungo del solito. I miei film sono spesso dei ready made: vengono fatti in situazioni di grande rapidità. Questo film è stato molto più complesso. Generare immagini richiede un sacco di tempo.

Quanti tentativi facevi prima di trovare quella giusta?

Dipende. A volte riuscivo a trovare un’immagine con un solo tentativo, a volte ero costretto a cambiare completamente strada perché non era possibile realizzarla e riscrivere intere sezioni. È come scavare una miniera: a un certo punto trovi una pepita d’oro da cui si dirama un filone che puoi esplorare. È un lavoro quasi archeologico. Questa idea compare anche nel corto, con la scrittura “geroglifica”.

Anche i titoli di testa sono fatti con questa specie di alfabeto.

Il concept visivo è quello di un intero film rimasticato dall’IA. Sono felice che Venezia mi abbia dato il permesso di farlo anche con i loghi. Era un’idea che avevo in mente da tempo perché la trovo coerente con l’idea del controllo linguistico. Aldilà del Covid, che è stato un grande esperimento di sorveglianza, è uno studio sul linguaggio di oggi, un linguaggio che si sta evolvendo per censurare e condannare. La woke culture e la cancel culture ne sono un esempio.

Hai intenzione di continuare a seguire l’evoluzione delle intelligenze artificiali per i progetti futuri?

Tra tre-quattro anni l’IA sarà in tutti i processi del cinema. Ora c’è una grande reticenza ma sarà naturale. Non andrà a rimpiazzare il cinema ma sarà piuttosto un sottogenere: una specie di animazione iperrealista. Sarà usata molto nella pubblicità. Non è ontologicamente rilevante e non è costruita in una maniera che gli permetterà di sostituire le immagini cinematografiche perché non è fatta per riprodurre le sfumature della recitazione. Ma entrerà nel nostro workflow.

Mi piace molto che nel film ci sia una storia d’amore, che lo rende molto poetico.

Il protagonista non si accorge che la donna di cui è innamorato è una ribelle. Lei sta lottando contro il sistema, mentre lui sta diventando un indifferente. Non si accorge che sta smettendo di amare, di protestare e di muoversi contro. Viene pacificamente assorbito e annullato. È così che ci vogliono le dittature del futuro.

Su quale nuovo progetto stai lavorando in questo momento?

Sul mio primo film di finzione. Su diverse storie, perché sono un po’ bulimico come scrittore. Sto cercando una collaborazione con un produttore per capire su quale storia investire. Tante conservano questa sorta di esorcismo del futuro e altre vanno nella direzione del genere: animazione, fantascienza, horror e via dicendo. Mi piacerebbe scardinarmi dai film che ho fatto e provare qualcosa di diverso.

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30 Agosto 2024

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