Ancora tu? Hollywood e la sovraesposizione delle nuove star

Ce lo siamo chiesti tutti almeno una volta: perché Hollywood usa (quasi) sempre gli stessi attori? Una pratica antica quanto lo Star System, ma oggi alimentata da nuovi timori. Dalla pressione del marketing alla concorrenza degli influencer, essere sempre presenti è diventato un obbligo


Una delle migliori serie del momento si intitola The Studio e si trova su AppleTV+. Un appassionato del fantastico e contraddittorio mondo di Hollywood non può farsela sfuggire, perché gli interrogativi su cui si regge sono tanto semplici quanto interessanti: cosa si nasconde dietro le quinte dei grandi Studios? Chi prende le decisioni che spostano milioni di dollari? E, soprattutto, su quali principi? Un bignami sull’industria del cinema aggiornato all’epoca del politicamente corretto, del successo di Barbie e della concorrenza di TikTok. Le domande sul misterioso mondo dei grandi Studi sono però tantissime e una circola da qualche settimana online con maggiore insistenza: perché Hollywood usa quasi sempre gli stessi attori?

Basta scorrere i commenti del tanto dibattuto teaser trailer di Shrek 5 per scoprire che in tanti sembrano porsi una domanda: “Zendaya, anche qui?”. Al netto delle valutazioni sul talento della giovane attrice, Zendaya è uno dei volti più ricorrenti sui grandi schermi. A guardare la lista di titoli che ha in cantiere, lo sarà ancora per molto. Ma non è l’unica. Anche il cast dell’attesissimo The Odyssey di Christopher Nolan ne è una prova: tra i protagonisti troviamo alcuni dei volti più ricorrenti, tra cui Tom Holland. Nel 2026, quando il film uscirà nelle sale, l’attore sarà contemporaneamente al cinema anche con un altro blockbuster: Spider-Man: Brand New Day. E ancora, Timothée Chalamet, che tra WonkaDune 1 e 2, A Complete Unknown e l’imminente Marty Supreme è protagonista incontrastato dei grandi schermi.

Le nuove star sono quanto mai sovraesposte, quasi terrorizzate da lasciare la sala per più di qualche mese, con il rischio di sparire dalla mente degli spettatori in un panorama mediatico che non fa sconti a nessuno e – come racconta The Studio – è in competizione con tante diverse forme di intrattenimento, dai videogiochi ai social media.

Fin dalla sua nascita, Hollywood ha trovato nello Star System una delle colonne portanti del suo appeal. Da Leonardo DiCaprio a Margot Robbie, passando per gli ultimi ritrovati, come i sopracitati Zendaya e Chalamet. Se un attore funziona, lo si usa. Ancora e ancora. Niente di nuovo, si potrebbe dire. Ma non è solo questione di fama. Le ragioni sono più numerose di quel che si potrebbe pensare e affondano le radici in una serie di dinamiche interconnesse che riguardano il marketing, la finanza, le strategie degli studios e persino l’eco dei vecchi sistemi di produzione. Insomma, è sempre stato così, ma non sempre per la stessa ragione e allo stesso modo. Per questo, chiedersi “Zendaya, ancora tu?” non è del tutto fuori luogo.

Una delle ragioni principali di questa tendenza è, ovviamente, il valore commerciale di un nome consolidato e la sua importanza nel marketing. Il pubblico generalista conosce attori come Leonardo DiCaprio e il loro storico al botteghino dimostra che i film che li vedono protagonisti (o comunque presenti) tendono ad avere successo. Soprattutto se parliamo di vincitori di Premi Oscar. Questa familiarità non è cruciale solo per il pubblico nazionale, ma anche per i distributori esteri che cercano volti noti per attirare spettatori in mercati diversi.

Come racconta bene The Studio – seppur nel suo stile satirico e sopra le righe – più grande è una casa di produzione, più facile è che sia restia a correre rischi finanziari significativi. Un casting di attori sconosciuti per ruoli principali è percepito come un azzardo, e preferiscono affidarsi a interpreti con una comprovata esperienza di successo e di ritorno economico. L’insuccesso di un film può avere conseguenze pesanti, e la presenza di un volto noto offre una certa sicurezza.

Un altro fattore cruciale è rappresentato dai contratti pluriennali (multi-picture deals) e dagli accordi di “first look”. Questi accordi legano gli attori a specifici studios per un certo numero di progetti, garantendo una presenza costante di quegli artisti nei film prodotti da quella compagnia. Molte compagnie firmano accordi di “first look” con talenti specifici, ottenendo la priorità per ingaggiarli. Prima che il successo di Zendaya si reggesse sulle proprie gambe, Warner Bros., che attraverso HBO e la serie Euphoria l’ha rilanciata al pubblico GenZ dopo l’esperienza di baby attrice su Disney Channel, l’ha mantenuta sul grande schermo con molti ruoli utili a solidificarne la presenza come nuova star. Lo stesso vale per Timothée Chalamet con Warner Bros. (Dune, Wonka) e Tom Holland con Sony (Spider-Man, Uncharted). Questo sistema ricorda, in parte, il vecchio sistema degli studios di Hollywood, dove gli attori erano sotto contratto esclusivo con determinate case di produzione. Anche se la paura dell’oblio, in un mondo mediale saturo di stimoli, potrebbe star giocando un ruolo senza precedenti, soprattutto per le nuove leve. Le compagnie investono nello sviluppo di certi attori e, per mantenere la loro popolarità e il loro valore, tendono a offrirgli più opportunità. Inoltre, l’influenza dei social media è diventata un fattore non trascurabile: un elevato numero di follower può essere visto come un vantaggio in termini di portata del marketing.

E sempre di marketing si tratta quando il settore parla di “Disney Channel Pipeline”, un termine caro agli Studios responsabili dell’avanzata di nuovi volti appartenenti alla Generazione Z. Si tratta infatti di quel percorso “privilegiato” che porta giovani attori, inizialmente noti al pubblico dei più piccoli grazie alle serie del canale Disney Channel, molto in voga nei primi anni 2000, a conquistare il grande schermo. Il caso di Zendaya è ancora una volta emblematico: il successo della serie Shake It Up, andata in onda dal 2010 al 2013, ha messo in luce le sue potenzialità e l’ha fatta conoscere a quello stesso pubblico che, oggi nella fascia d’età tra i 20 e i 35 anni, l’ha conosciuta da bambini. Avendo già alle spalle una solida fanbase, questi interpreti diventano scelte ideali per i grandi studios. Ma Hollywood non è una scienza esatta, e anche la Disney Channel Pipeline ha visto molte carriere bruciarsi troppo presto e finire nel nulla.

È interessante notare poi come alcuni attori, come Margot Robbie, abbiano creato le proprie case di produzione, il che li porta spesso a recitare nei loro stessi progetti. La LuckyChap Entertainment (fondata da Robbie assieme al marito Tom Ackerley) ha prodotto dal 2014 undici titoli, cinque dei quali vedono protagonista proprio l’attrice. Tra questi, anche il film dei record Barbie.

Se la riconoscibilità è qualcosa che le grandi Major bramano da sempre, non mancano tuttavia esempi che vanno in direzione opposta. Si tratta principalmente di casi in cui è importante per uno Studio che un attore non sia più famoso del personaggio che interpreta. Uno tra tutti, James Bond. Come sappiamo infatti, da un’iterazione all’altra, la famiglia Broccoli (fino a pochi mesi fa detentrice dei diritti dell’Agente 007) ha sempre scelto oculatamente l’interprete del suo personaggio di punta. Prima regola: un attore non facente parte di franchise già avviati. Una regola ferrea divenuta sempre più difficile da rispettare in un’epoca in cui la stragrande maggioranza degli attori è già legata a universi narrativi avviati, come quello della Marvel. Ora che Amazon ha preso del tutto il controllo del personaggio – in rotta con la famiglia Broccoli, che dopo il congedo di Daniel Craig stava impiegando anni a trovare un nuovo volto – le cose potrebbero cambiare. Ad esempio, basta un giro sui social per vedere che in molti chiedono a gran voce di dare la “Licenza di uccidere” a Henry Cavill, l’ex Superman. Una strada che Amazon potrebbe decidere ora di percorrere.

E a proposito dell'”Azzurrone” dei fumetti: James Gunn, regista e direttore artistico dei DC Studios, ha scelto per il suo rilancio di Superman David Corenswet, volto fino ad ora slegato da grandi ruoli di punta. Una scelta interessante per riproporre ex novo il mito del personaggio con un volto che, qualora il film dovesse rivelarsi un successo, sarà a lungo associato solo al nuovo Clark Kent. D’altronde, ancora oggi ricordiamo Christopher Reeve come primo vero volto di Superman.

In un ecosistema dove l’attenzione è frammentata e l’offerta infinita, anche le star devono lottare per restare visibili. Soprattutto per gli attori più giovani, che hanno nella GenerazioneZ i principali sostenitori, sparire dallo schermo per qualche mese equivale a cedere terreno a un influencer, a un trend passeggero, a un algoritmo più veloce. A Hollywood, la fabbrica dei sogni, avanza l’incubo dell’oblio.

autore
13 Aprile 2025

Focus

Focus

Gesù secondo il Cinema

Da Zeffirelli a Scorsese, da Pasolini a Mel Gibson, passando per Barabba e Jesus Christ Superstar sul grande schermo la figura del figlio di Dio è sempre attuale e mai uguale a se stessa, fino al recente fenomeno di The Chosen: L’ultima Cena

Focus

Caccia all’uovo (nascosto): gli Easter Eggs cinematografici in grandi classici

Da R2-D2 e C-3PO trasformati in geroglifici in Indiana Jones al tappeto di Shining in Toy Story: alla scoperta di alcuni dei più bei Easter Eggs della storia del cinema

Focus

30 anni dopo Luchetti, quando la scuola diventa un set

In occasione del trentesimo anniversario dell'uscita del film La scuola, cerchiamo di capire perché il cinema ami entrare spesso nelle aule scolastiche

Focus

Figli di Cronenberg: 5 film nel solco del body horror

L'iconico stile del regista canadese, tornato in sala il 3 aprile con The Shrouds, influenza ancora oggi i giovani cineasti di tutto il mondo. Da Titane di Julia Ducournau al recente successo di The Substance di Coralie Fargeat


Ultimi aggiornamenti