Gesù secondo il Cinema

Da Zeffirelli a Scorsese, da Pasolini a Mel Gibson, passando per ‘Barabba’ e ‘Jesus Christ Superstar’ sul grande schermo la figura del figlio di Dio è sempre attuale e mai uguale a se stessa, fino al recente fenomeno di ‘The Chosen: L’ultima Cena’


Gesù affascina il cinema incarnando una potente tessitura di spiritualità, dramma umano e tensione universale tra divino e terreno. La sua biografia, ricca di simboli, passioni e conflitti, offre al grande schermo materia narrativa e visiva inesauribile, capace di riflettere interrogativi sull’identità, il sacrificio e la redenzione, offrendo la possibilità di esplorare, attraverso la figura messianica, i dilemmi eterni dell’esistenza.

È Pasolini, tra gli autori italiani, a ri-tornare sul figlio di Dio, con La ricotta (1963) e Il Vangelo secondo Matteo (1964). Una visione asciutta, poetica, influenzata dal Neorealismo e dall’iconografia medievale e rinascimentale, con volti popolari, spazi aridi e montaggio brechtiano che cercano una narrazione antispettacolare e profondamente umana, questo il Pasolini del Vangelo in bianco e nero; è un Gesù ieratico, giovane e severo, quasi profetico quello di Enrique Irazoqui (attore non professionista), che incarna una figura rivoluzionaria, austera e ispirata, più portavoce di una verità assoluta che uomo terreno. Mentre per il film dell’episodico Ro.Go.Pa.G, con Orson Welles nel ruolo del regista, La ricotta appunto, PPP opta per una metacinematografia ironica e tragica, mescolando sacro e profano, alternando stilemi barocchi (riprese lente, pose da quadro) con inserti grotteschi, alla ricerca di un provocatorio voluto, con una chiave satirica e tragica: Gesù qui non ha una vera interpretazione diretta, è un’immagine statica nella rappresentazione filmica interna. Il protagonista (Stracci, una comparsa) viene crocifisso in scena, e la sua sofferenza reale diventa la vera Passione, così il film di Pasolini si fa denuncia della caduta morale dell’essere umano contemporaneo.

Mentre molto fedele al testo evangelico, con taglio pedagogico e rigoroso, meno poetico di Pasolini ma altrettanto importante, è Il Messia (1975) di Roberto Rossellini, che adotta uno stile quasi televisivo e documentaristico, puntando su dialoghi essenziali e ambienti spogli per trasmettere rigore e spiritualità. Il Gesù di Pier Maria Rossi è riflessivo, sobrio, privo di teatralità. L’attore adotta un tono pacato, quasi scolastico, incarnando l’intento didattico del film, restituendo un profilo con meno carisma e più umanità controllata. Rossellini opta per uno stile quasi ascetico con un rigore che punta a una depurazione del linguaggio cinematografico, che non mira alla Fede ma alla comprensione razionale del messaggio evangelico, chiedendo allo spettatore un’attenzione intellettuale più che emotiva.

Un ponte tra cinema italiano e internazionale è Franco Zeffirelli con Gesù di Nazareth (1977), mini serie tv co-prodotta da Italia e Regno Unito, con Robert Powell nei panni del protagonista. Una versione fedelissima ai Vangeli quella di Zeffirelli, sempre raffinato, teatrale e accessibile: unisce eleganza visiva e rigore narrativo, con attenzione ai dettagli iconografici e all’intensità emotiva, riuscendo in un ritmo lento ma solenne. Powell, nell’estetica vicinissimo all’immaginario dell’iconografia occidentale di Gesù, procede con sguardo fisso, voce calma, mai un’esitazione. È un Gesù “al di sopra del mondo”, etereo, quasi immobile nel suo ruolo messianico: questa interpretazione ha segnato l’immaginario collettivo; il blu intenso dello sguardo e il tono di voce suadente permettono a Powell di incarnare un Gesù quasi divino, una presenza magnetica e spirituale.

Un’altra co-produzione – italo-americana – per Barabba (1961), film di Richard Fleischer, anche qui con un Gesù non strettamente protagonista ma figura centrale. Barabba è interpretato da Anthony Quinn – mentre Silvana Mangano è Rachele e Vittorio Gassman è Sahak: il racconto esplora il suo destino dopo la liberazione concessa dalla folla al posto di Cristo. Gesù è etereo e silenzioso, sempre distante, quasi irreale; la sua presenza è spirituale e poco recitata, scelta per accentuare il conflitto interiore di Barabba. Fleischer è solido e spettacolare, fa ampio uso di grandiose scenografie e scene di massa ma, anche se si tratta di una produzione/visione hollywoodiana, non manca di tocchi di realismo grazie soprattutto alla fotografia drammatica di Aldo Tonti.

Un classico del genere biblico è King of Kings (1961) di Nicholas Ray, grande kolossal hollywoodiano, con Jeffrey Hunter nel ruolo di Gesù. Epico e classico al contempo, Ray costruisce tableaux solenni e sequenze ampie, enfatizzando il pathos e la grandezza del messaggio cristiano: la sua visione è convenzionale ma efficace. Hunter è un Gesù quasi angelicato: l’attore stesso ha tratti delicati e una voce dolce, capaci di una serenità quasi sovrannaturale; è un eroe spirituale più che un uomo comune, sempre perfettamente composto, senza conflitti apparenti.

La narrazione musicale per eccellenza della Passione è Jesus Christ Superstar (1973) di Norman Jewison, adattamento del celebre musical. L’origine teatrale si fa sentire nell’impostazione registica, comunque dinamica e pop. Jewison sfrutta scenografie naturali e costumi anacronistici per creare una narrazione dal forte impatto visivo, con riprese in campo lungo e coreografie collettive. Ted Neeley è un Gesù giovane e stanco, che cerca comprensione più che adorazione: vocalmente emotivo, molto terreno, vulnerabile; l’attore canta e interpreta con pathos, mostrando dubbi e sofferenza con forza teatrale. È un Cristo più umano, vicino ai drammi interiori del contemporaneo.

È David Greene con Godspell (1973) a portare sul grande schermo un altro musical, ispirato al Vangelo secondo Matteo, ambientato nella New York degli Anni ’70 e con Gesù figura gioiosa e “hippie”, cui il regista dà eco con una visione leggera, colorata, allegorica. Greene sceglie una regia coreografata e fantasiosa, con ambientazioni urbane simboliche, quasi da videoclip ante litteram. Victor Garber è in parte con uno spirito giocoso, comunitario: interpreta il suo personaggio come un entusiasta, simile a un clown sacro, lontano dalla trascendenza tradizionale. L’approccio è affettivo, pedagogico, quasi infantile ma non ingenuo.

A contrasto, per la rappresentazione cruda della Passione, è The Passion of the Christ (2004) di Mel Gibson, film molto controverso, girato in aramaico e latino, con Gesù interpretato da Jim Caviezel. L’immaginario che Gibson porta sullo schermo è iperrealista e viscerale: punta su primi piani, rallenty e uso intenso del sangue per trasmettere sofferenza. L’atmosfera è cupa, la fotografia quasi caravaggesca e il montaggio serrato. Caviezel incarna una sofferenza estrema, che sublima l’umanità in martirio divino: il corpo è umano ma la missione è totalmente trascendente in questa interpretazione fisica e mistica, centrata sul dolore e sul sacrificio; l’attore trasforma il fisico in strumento di dolore estremo, con sguardi intensi e gesti minimali, infatti il linguaggio corporeo si restituisce più eloquente delle parole. Il sequel di questo film avrà il suo primo ciak ad agosto, a Cinecittà.

Dal romanzo di Nikos Kazantzakis, ecco The Last Temptation of Christ (1988) di Martin Scorsese, in cui Cristo è interpretato da Willem Dafoe. Il film s’addentra nella dimensione umana e nei dubbi interiori di Gesù con grande libertà teologica, infatti il racconto cinematografico è stato al centro di molte polemiche. La regia di Scorsese è espressionista e intensa, esplora il conflitto interiore con movimenti di macchina nervosi: fa un uso del colore caldo e sceglie tagli emotivi, per offrire un forte senso di introspezione e tensione spirituale. Quello di Dafoe è il Gesù più umano di tutti: teme, desidera, lotta con il proprio destino. È intimo e controverso, pieno di contraddizioni: tormentato, sensuale, profondamente umano appunto. L’attore riesce a esplorare le contraddizioni interne del personaggio con intensità psicologica e fisica, alternando momenti di dolcezza a esplosioni di angoscia mistica.

Ancora, monumentale, quasi liturgico è George Stevens che gira con inquadrature statiche e composte, enfatizzando la maestosità dei paesaggi e l’aura divina dei personaggi di The Greatest Story Ever Told (1965), kolossal epico, con Max von Sydow nel ruolo di Gesù. Il suo figlio di Dio è distaccato e ieratico, ha una voce profonda e una presenza solenne; è una figura austera e remota, più simbolo che carne.

Dulcis in fundo, temporalmente parlando, anche la contemporaneità cinematografica più stretta non riesce a fare meno della figura di Gesù e due sono i titoli che lo mettono su grande schermo, il documentario Christspiracy e il fenomeno The Chosen: Ultima Cena (distribuito da Nexo Digital per il nostro Paese), un successo da oltre 45mila spettatori dal giorno del debutto in sala, 10 aprile 2025. Nasce come serie e arriva in formato cinematografico per raccontare la Settimana Santa: conta sette stagioni, che hanno raggiunto oltre 250 milioni di spettatori e più di 17mln di follower su social media. Gesù qui è interpretato da Jonathan Roumie, mentre Maria Maddalena è Elizabeth Tabish: al cinema, pubblico e fedeli sono trasportati di fronte alla tavola del convivio più cruciale della Storia. Siamo in Palestina, primo secolo di governo romano: sono le drammatiche giornate in cui il popolo d’Israele accoglie Gesù a Gerusalemme come un re, mentre i discepoli ne attendo con ansia l’incoronazione, ma lui sovverte la festa religiosa ebraica e, sentendosi minacciati nel loro potere, i leader religiosi e politici del Paese fanno di tutto affinché questa sia l’ultima Pasqua del Salvatore.

autore
19 Aprile 2025

Focus

Focus

L’infinita voglia di passare dalla carta al set

In occasione dell’uscita di L’infinito, esordio alla regia di Umberto Contarello — sceneggiatore per maestri come Sorrentino e Bertolucci — un viaggio tra gli autori che hanno scelto di passare dietro la macchina da presa

Focus

Il cinema – Una lunga storia di abbracci

Il Festival di Cannes ha scelto quello di Un uomo, una donna di Claude Lelouch per la sua doppia locandina: noi ripercorriamo altri celebri abbracci del cinema

Focus

Star Wars, il 4 maggio e la vendetta del Quinto

Ieri è stato lo Star Wars Day, ma le celebrazioni continuano! Anche il gioco di parole 'May the Fourth' ha infatti un suo sequel... 'Revenge of the Fifth', la vendetta del Quinto! Un modo come un altro per continuare a festeggiare anche il 5 maggio

Focus

Mattia Torre: l’artista che ci ha rivelato come siamo

In vista della presentazione del premio a lui intitolato, un ricordo del brillante autore dietro opere come La linea verticale, Boris e Figli


Ultimi aggiornamenti