48 ore fuori, tra riscatto e perdizione

Claudio Amendola dirige la sua opera seconda, Il permesso – 48 ore fuori, dalla sceneggiatura di De Cataldo e Jannone, con Luca Argentero


Dopo il terreno comune di Suburra, seppur sia Claudio Amendola che Giancarlo De Cataldo precisano non sussistere connessione, nasce per il grande schermo una storia che lo stesso sceneggiatore definisce di “riscatto e perdizione”, una storia di quattro essere umani che, per un permesso concesso dal carcere, hanno l’occasione di poter tornare alla luce del sole per due giorni, spiraglio di vita che fa fare a ciascuno i conti con il passato, con l’esperienza maturata in carcere, alla ricerca di un futuro che, in qualche caso, finisce ancor prima di tornare dietro le sbarre.

Quattro storie in parallelo, quattro personaggi: Luca Argentero, Donato, un nome scelto, come racconta l’attore, dopo una prima opzione differente e a seguito di un confronto in cui lui stesso ha proposto questa identità, pensando a come fosse un nome tipico dei bambini lasciati orfani, profilo che sentiva appartenere al suo personaggio, di cui ufficialmente non si conosce il passato. Giacomo Ferrara, anche lui da Suburra, è Angelo: “un altro personaggio, rispetto al film precedente. È un criminale, ma il più buono dei quattro. Vuole cambiare, si mette a studiare in carcere. Il gioco stava nel divertirsi in ogni scena, così garantendo la genuinità del personaggio. Claudio Amendola è un regista generoso, lascia fare molto ma ha poi la parola giusta al momento giusto”. Poi, una donna, una fragile e disinibita Rossana, figlia dell’alta borghesia, interpretata da Valentina Bellè, al suo primo ruolo per il grande schermo (dopo quelli nelle serie tv di successo I medici, Grand Hotel e altri) come, con orgoglio, ci tiene a dire Amendola: “Valentina, quando venne in ufficio la prima volta, fece 4 metri e capii che era lei il mio personaggio, anche se comunque, poi, le ho fatto fare il provino su parte, restando colpito da come riuscisse sempre a dire la battuta ‘in modo scorretto’, come non te l’aspetti, ma per questo giusto. Luca, invece, è nato con la pena in mano. Sapevo che avrebbe dato il massimo. Giacomo l’avevo pensato per il ruolo di mio figlio, poi gentilmente venne a far da spalla ai provini in cui cercavo l’attore che facesse Angelo, e lì ho capito che doveva essere lui”.

Il quarto protagonista è, poi, Luigi, interpretato dallo stesso regista, che del doppio ruolo ha detto: “Non è stato facile. Temevo la serenità di giudizio che potevo avere, ma ho avuto accanto Maurizio Calvesi, il direttore della fotografia, Simone Spada, l’aiuto regista e, quando giravo da attore, Francesca (Neri ndr), mia moglie, mentore severo”. Ma, se per Claudio Amendola, per sua stessa ammissione, il soggetto del film, dunque il personaggio, era “roba sua”, per Argentero è stato un ruolo spartiacque, in cui convince per l’interpretazione quasi completamente muta di parola: “È stato strano più che altro non lavorare sulle parole. Un attore deve, però, augurarsi di poter variare ruolo. Ho vissuto questa esperienza come un regalo: mi alleno abitualmente di mio, farlo per un obiettivo è stato divertente. L’intelligenza di Claudio Amendola è stata nel fidarsi del gruppo di lavoro”. Gli fa eco il regista: “È stato facile perché Claudio Bonivento mi ha portato una sceneggiatura che s’è fatta leggere tutta d’un fiato. Ho riconosciuto il genere di film che mi ha fatto diventare attore: Claudio mi offrì Soldati – 365 all’alba nell’’87. Da spettatore, da figlio di mio padre, questa sceneggiature era ‘roba mia’, con cui mi sono sentito a mio agio”. Sceneggiatura firmata da Roberto Jannone e Giancarlo De Cataldo, per cui questo film “è stato un incontro fortunato, con Claudio Amendola entrato con delicatezza nel progetto, ma capace di adattarlo. Una volta finita la scrittura, il film diventa di XY ma se ti emoziona, poi, l’opera è anche tua. Il soggetto non accenna, volutamente, a questioni reali, come Mafia Capitale, perché in carcere ci sono storie umane, portatrici di un messaggio di laica comprensione. Di persone così ne ho conosciute quando ero giudice per le carceri, ma i personaggi non si riferiscono a persone reali, sono archetipi, percorsi possibili. Claudio Bonivento ha lavorato anni per produrlo”.

Lo stesso produttore, riprendendo alcuni termini ricorsi parlando del film , come “generosità” e “delicatezza”, si sente di “aggiungere anche la sensibilità, oltre l’eleganza, come promessa anche dal distributore, Tarak Ben Ammar, nel trattamento del film. Ho 30 anni di storia professionale con Claudio Amendola, che ringrazio , perché il cinema, a volte, manca di gratitudine. Era il 3 dicembre 2014, quando Giancarlo mi portò, alle 8 di mattina, in un bar, 8 paginette del soggetto: gli dissi che in quel momento non ero in grado di produrlo, ma lui ha avuto pazienza. È un film di cuore”. Il permesso – 48 ore esce in sala il 30 marzo, distribuito da Eagle Pictures, in 240 copie. 

Nicole Bianchi
28 Marzo 2017

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