Cinque film, uno spin-off e un glorioso passato animato negli anni ’80 non bastano ai robottoni mutaforma della Hasbro, che dopo la saga di Michael Bay tornano nel prequel-reboot che risveglia i Transformers e tenta il rilancio del franchise.
Abbandonata la smodata visione artistica del regista statunitense, l’uomo la cui passione per esplosioni e mitragliate aliene è ormai gag, qui in veste di produttore, Transformers – Il Risveglio si mette in scia a Bumblebee, il prequel della saga distribuito nel 2018 e ambientato negli anni ’80. Il nuovo capitolo diretto da Steven Caple Jr., in sala dal 7 giugno con Eagle Pictures, sposta l’azione pochi anni dopo, nel 1994, e ripropone la struttura dei primi film della serie – svolgimento: guerre aliene sulla terra coinvolgono uno sparuto gruppo di persone qualunque dal grande cuore e coraggio – innestando un’atmosfera urban HipHop in cui trovano spazio nuovi comprimari.
La premessa ha subito in tasca il MacGuffin che spinge l’azione in cerca di una chiave legata al pianeta natale dei Transformers e rischia di sconquassare l’intero equilibrio della terra, minacciata dal gigantesco nemico Unicron e dal ponte “spazio-temporale” che nella più classica delle soluzioni sci-fi attraversa il cielo e si abbatte sul pianeta come un infinito raggio laser luminoso.
Il film passa dalla Brooklyn dei Wu-Tang Clan al Perù, dove la fanta-archeologia della serie torna all’origine e racconta ancora una volta il passato della terra e dell’universo a partire dalle vicende della specie aliena in metallo massiccio. Si rinnova l’elemento umano, con i due nuovi protagonisti, l’ex militare esperto informatico Noah Diaz (Anthony Ramos) e l’archeologa Elena Wallace (Dominique Fishback), mentre è eliminata la presenza ormai abitudinaria di ingenti forze armate, non coinvolte in quest’azione che – nonostante la monumentale stazza dei guerrieri coinvolti – è ancora sconosciuta al genere umano.
Il prequel sceglie quindi di rivolgersi alla serie animata Hasbro per pescare personaggi mai visti nella saga di Bay, tra cui gli attesi Primal, mix di robot e giganteschi animali a la King Kong, da secoli nascosti in un Perù che ricorda infatti la Skull Island del più noto gorilla.
Se la saga di Transformers ha vissuto, nel bene e nel male, sulle spalle della discutissima visione di Bay, il rilancio del franchise unisce elementi imprescindibili della serie agli ultimi ritrovati in termini di blockbuster, con tentati avvicinamenti in area Marvel – soprattutto per l’azione corale e la comicità messa in campo, anche in campo da battaglia – e una visione meno netta del tono e degli interessi perseguiti dalla nuova trasposizione.
Passano in secondo piano le automobili e questi Transformers, ripensati sul design del cartoon e perciò meno legati nei pezzi che li compongono ai mezzi di trasporto cui prendono in prestito il corpo, formano gruppi da cartolina un po’ generici. Lì dove il primo Transformers introduceva il rapporto umano-robot tra Shia LaBeouf e la Camaro gialla Bumblebee, ora troviamo Mirage, il cui potere illusionistico mina assieme ad altri personaggi il funzionamento tecnologico di questa specie e la porta verso veri e propri superpoteri. Allo stesso modo, il piccolo essere umano invitato a scappare sullo sfondo di vicende intergalattiche, disquisite a suon di esplosioni, guadagna qui un piccolo upgrade che lo reintroduce in battaglia e conferma le differenti direzioni intraprese da questo prequel di rilancio.
Faro al centro della battaglia, leader indiscusso e simbolo ancora insostituibile per la saga, è di nuovo Optimus Prime, attorno cui si sviluppa una battaglia di sopravvivenza per la razza Autobot, Primal e umana. Gli immensi ingranaggi in cgi sembrano spesso non avere peso proprio e, nonostante la posta in gioco, i robot finiscono per assomigliarsi nello spazio attraversato senza particolari idee di messa in scena. È infatti Bumblebee, in battaglia con una playlist HipHop a dettare il ritmo delle azioni, a ridestare interesse e confermare quel piccolo prequel a lui dedicato una via forse più corretta per questo franchise, d’improvviso simile a tante altre orchestre di computer grafica e idee sci-fi.
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