Sono bastati tre film a Claudio Caligari per allestire un’eredità artistica dal valore inestimabile. Un piccolissimo corpus di opere che, nonostante uscite a distanze siderali l’una dall’altra, può vantare compattezza di stile e traiettoria creativa assolute. Un’autentica lezione di cinema impartita in tre movimenti da un Maestro di cui ancora non si è arrivato a delinearne la grandezza per intero. Un cantore degli ultimi, degli “underdog”, dei reietti che non si è mai preoccupato della narrazione comoda, optando invece per la crudezza della verità anche quando non emanava esattamente profumo di fiori.
A 25 anni dalla sua uscita nelle sale il secondo film di Caligari, il suo capolavoro più compiuto – L’odore della notte – torna al cinema il 20 novembre, smaltato dalla luce di un restauro accurato e benedetto dalla magnificenza del 4K realizzato da CSC – Cineteca Nazionale.
L’opera seconda del regista arrivava dopo ben 15 anni dal suo folgorante esordio di L’amore tossico che con un piglio documentaristico raccontava il ramificarsi dell’eroina nelle borgate romane all’inizio degli anni ’80, seguendo un gruppo di amici tossicodipendenti. Nonostante la vittoria del Premio Vittorio De Sica per la miglior opera prima a Venezia 40 Caligari tornò al silenzio da cui era emerso con un lampo così vivido.
Attenzione, non fu un vuoto creativo che ingoiò Claudio Caligari per oltre tre lustri. Lui continuò a immaginare, scrivere, provare a fare il suo cinema. Tra il 1984 e il 1991 sfornò sei trame per lungometraggi: Effetto Elisa, La grande illusione del numero due, La ballata degli angeli assassini, Ladro d’amore, Sottoroma, Dio non c’è alla Sanità.
Ma ci vorranno altri 17 lunghi anni da L’odore della notte e l’intervento massiccio e appassionato di Valerio Mastandrea per poter gustare al cinema (nel 2015) la sua terza e ultima fatica. “Ultima” e “fatica” in tutti i sensi, se si considera che Claudio Caligari concluse il montaggio di Non essere cattivo in un letto d’ospedale ormai agli sgoccioli della sua vita.
L’odore della notte liberamente ispirato al romanzo Le notti di Arancia Meccanica di Dido Sacchettoni a sua volta basato sulla storia vera della famigerata Banda dell’Arancia Meccanica, attiva tra il 1979 e il 1983 nella Capitale, uscì nel 1998 ed è un thriller provocatorio, un neo-noir sporco e violento, un viaggio nella mente e nelle azioni di Remo (Valerio Mastandrea), poliziotto insoddisfatto che si guadagna da vivere facendo irruzione nelle case dei ricchi con una banda di malviventi di cui fanno parte anche Maurizio (Marco Giallini) e Roberto (Giorgio Tirabassi). La tecnica messa a punto da Remo funziona: consiste nell’adescare le vittime per strada, seguirle fino alla macchina ed entrare nella loro casa. La sceneggiatura segue la loro ascesa che porta la banda delle ville a passare da piccoli furti fino a saccheggi in piena regola anche nelle case dei vip (memorabile l’intrusione nell’abitazione di Little Tony interpretato egregiamente da se stesso), dei politici corrotti, fino a farsi una nomea in un ambiente da cui non vorranno né riusciranno a sottrarsi.
Caligari si serve della voce narrante monocorde e atarassica di Remo Guerra per esplorare la rabbia soffocata di una generazione di emarginati e afflitti. Per ritrarre il dipinto della solitudine di un rapinatore. È con lui che attraversiamo le notti in cui marcisce l’odore del sangue, l’acre sentore della polvere da sparo, dove la violenza esplode a volte con ferocia insopportabile e altre con uno spirito quasi grottesco.
L’odore della notte è il culmine della vita di spettatore, di conoscitore e di autore di cinema del suo regista. Caligari rielabora a suo modo il patrimonio del noir italiano, del polar francese di Jean-Pierre Melville (adorato da Truffaut e dalla Nouvelle Vague) e dell’indie americano, in special modo in quei pezzi d’arte che sono Mean Streets e Taxi Driver di Martin Scorsese.
Le vicende di Remo, Maurizio, Roberto e lo Zozzo sono inquadrate con un dinamismo inaudito per l’epoca, i tagli di montaggio convulsi e le luci donano all’atmosfera una freddezza e una “sporcizia” che s’intonano perfettamente al profilo della storia. È un’eleganza selvatica quella che imprime Caligari a L’odore della notte ricco di momenti di raffinatezza cinefila e di rimandi molto sottili sia al western americano più puro sia all’opera di un Ferdinando di Leo.
E non dimentichiamo gli interpreti. Claudio Caligari ha un altro pregio incredibile: esaltare il lavoro dei suoi attori e delle sue attrici. Mastandrea qui è una scelta coraggiosa: si stava affermando in quel periodo come una boccata d’aria fresca per la commedia italiana e si ritrovava catapultato in un personaggio marcio, deviante, tutto spigoli e brutture.
“All’epoca era una scelta azzardata perché si sarebbe trattato della sua prima performance drammatica”, ammise il regista: “La sua fisionomia, quel viso scavato e quell’aria proletaria giocò a suo favore. Ho sempre apprezzato il suo istinto e la sua onestà intellettuale, doti che gli consentirono di capire subito il personaggio e di metterci l’anima per portarlo in scena”.
Una sfida vinta da Caligari e Mastandrea, così come risplendono le interpretazioni di Tirabassi e Giallini (al suo primo ruolo davvero notevole). Anni dopo saranno Luca Marinelli e Alessandro Borghi con il seguito ideale di Amore Tossico – Non essere cattivo – a essere toccati dalla magia di questo cineasta che è stato un grande artefice di talenti, oltre che di storie.
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