Se la locandina della Festa è un proclama di dialogo interrazziale, con quell’immagine di Paul Newman e Sidney Poitier, la serie britannica Small Axe figura alla perfezione nel programma del festival diretto da Antonio Monda. Ideata 11 fa da Steve McQueen, che ai tempi stava lavorando a Hunger, ha un respiro lungo per l’argomento che accomuna i singoli film, godibili anche individualmente, come accaduto oggi con gli 80 minuti di Red, White and Blue. Il titolo generale Small Axe – lo stesso di una canzone di Bob Marley – è invece un riferimento a un proverbio africano (se tu sei il grande albero, noi siamo le piccole asce) che si potrebbe più o meno rendere con “l’unione fa la forza”.
“Una celebrazione – spiega il regista, che nell’Incontro Ravvicinato con il pubblico ha rivelato la sua passione per Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti – e una lettera d’amore alla capacità dei neri di resistere, sperare, amare, divertirsi e vincere la battaglia contro pregiudizi e discriminazioni”. In Red, White and Blue siamo all’interno della comunità caraibica a Londra: Leroy Logan, figlio di un fiero giamaicano, è un ragazzo studioso e pieno di virtù (John Boyega), che decide di lasciare la ricerca scientifica per arruolarsi nella polizia con l’intento di difendere i diritti dei neri, continuamente violati con violenze ingiustificate e arresti privi di fondamento. A scioccarlo è stata in particolare la vicenda occorsa a suo padre, picchiato da due agenti per un divieto di sosta che forse non era nemmeno tale. E così Leroy affronta il disprezzo dei suoi fratelli neri, compreso il padre, e gli atti di bullismo dei commilitoni convinto che si possano cambiare le cose dall’interno. E la sceneggiatura è stata scritta con la collaborazione del vero Leroy Logan. Del resto tutta la serie vuole essere anche un documento storico di quel periodo, ovvero gli anni ’70 e ’80: un episodio (Mangrove) è dedicato alla vicenda del pestaggio di manifestanti avvenuto nel 1970, quello fu il primo caso in cui un tribunale riconobbe la polizia colpevole di razzismo.
Le discriminazioni del passato riguardano molto da vicino le attuali battaglie #BlackLivesMatter. I film, scritti con Courttia Newland e Alastair Siddons, stanno facendo il giro del mondo – Covid permettendo – con tappe a Londra e New York e il Label di Cannes 2020. Il regista li ha esplicitamente dedicati a George Floyd e a tutti i neri assassinati per il colore della loro pelle in America, Gran Bretagna e ovunque nel mondo.
“C’è voluto l’episodio di George Floyd e una pandemia che ha incollato tutti davanti alla tv prima che qualcuno dicesse che, tutto sommato, era necessario parlare di razzismo”, ha ribadito in conferenza stampa Steve McQueen, che alla Festa del Cinema di Roma riceve il Premio alla carriera. Oscar per 12 anni schiavo, rivela che quel film non si sarebbe potuto fare se non fosse diventato presidente Obama, “perché prima di allora si pensava che un protagonista nero non potesse portare la gente al cinema e invece fu un grandissimo successo”. Il regista, che sdoppia il suo punto di vista tra il più intransigente padre e un figlio fermamente antirazzista ma pronto a qualche mediazione per difendere la propria gente con la legge, afferma ancora “io non sono un fautore della violenza, che è distruttiva, ma a un certo punto scatta la frustrazione e le azioni che si compiono sono il risultato di questa crescente tensione. Quello che accade oggi è collegato ad una pandemia, il Covid, che ha pemesso a tutti di vedere e rivedere le immagini del caso di George Floyd, morto dopo che un poliziotto gli ha schiacciato il collo per nove minuti”. Abbiamo visto “milioni di persone scendere in piazza – osserva – e c’è stato come un risveglio, perché eravamo tutti a casa, e tutti noi stavamo facendo i conti con la nostra fragilità. Poi sullo schermo ti appare un scena come questa. C’è voluta così tanta sofferenza per renderci conto di quello che ai neri accade ogni giorno”.
Sulle nuove regole ‘inclusive’ dell’Academy , Steve McQueen commenta: “Di cose ne sono successe tante ad Hollywood dopo l’uscita di 12 anni schiavo che ha avuto uno straordinario successo di pubblico con un protagonista nero. A Hollywood hanno pensato forse che questo era un altro modo per fare incassi. Da qui anche le regole dell’Academy, una cosa che potrebbe riguardare più il cast tecnico, le maestranze che potrebbero essere così facilitate a lavorare in una industria esclusiva come quella del cinema”.
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