Spetta al cinema portare la pace tra Israele e Palestina?

Mentre su Gaza e Tel Aviv urlano le sirene degli allarmi antimissile, le immagini della strage e l’ombra del genocidio entrano nelle nostre case dalla Rete e dalla tv, viene spontaneo cercare di capire, anche grazie al cinema, cosa abbia generato tanto furore


Mentre su Gaza e Tel Aviv urlano le sirene degli allarmi antimissile, le immagini della strage e l’ombra del genocidio entrano nelle nostre case dalla Rete e dalla tv, viene spontaneo cercare di capire, anche grazie al cinema, cosa abbia generato tanto furore. Certo, gli artisti non sono reporter, guardano più alla memoria e al futuro che non all’istante, ma forse proprio per questo oggi ci vengono in soccorso. La grande differenza è che noi, sul divano di casa, possiamo riflettere e (forse) capire, chi è sotto le bombe può solo difendersi e sperare. Confesso che io per primo oggi sono senza voce e sento l’urgenza di non distribuire torti e ragioni sull’onda delle emozioni; ammetto di avere paura e di far fatica a destreggiarmi tra le radici di una rabbia divenuta ormai atavica.

Noi europei abbiamo scoperto la storia degli ebrei di ritorno in Palestina a partire dalla data fatidica del 1948 quando alle Nazioni Unite fu proclamato da Ben Gurion il diritto di Israele di avere un proprio stato in Palestina. Era il 14 maggio e meno di 24 ore dopo i carri armati di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq invadevano il paese, finendo alla fine sconfitti dalle forze del Palmach e Aganah. La propaganda hollywoodiana avrebbe esaltato la lotta di liberazione con un film celebre, Exodus (1960) di Otto Preminger dal romanzo di Leon Uris e poi con Combattenti nella notte di Melville Shavelson del 1966. Alle ragioni dei palestinesi nessuno diede voce per molto tempo, non esistendo una vera tradizione locale del cinema. Sono però numerosi i film – finanziati da Israele – che danno voce anche al dramma palestinese, dalle opere di Amos Gitai (a cominciare dall’autobiografico Kippur del 2000) a Il giardino di limoni di Eran Riklis del 2008 con la più carismatica attrice palestinese, Hiam Abbass. E l’eco della lacerazione interiore  di tanti israeliani si ritrova nel bellissimo Valzer con Bashir di Ari Folman, un’animazione di forza dirompente che ricorda il massacro dei campi profughi in Libano a Sabra e Chatila nel 1982.

Dalla seconda Intifada in poi (nata sulla spianata delle moschee di Gerusalemme il 28 settembre 2000) le testimonianze visive e i racconti di parte palestinese sono diventati sempre più frequenti, tra documentari e racconti in prima persona come le bellissime e strazianti testimonianze di Elia Suleiman su un artista (e un popolo) senza più radici né identità (Il tempo che ci rimane, 2009). Ci sono i racconti che parlano del terrorismo come il ben noto Paradise Now (2005) di Hany Abu-Assad e storie di dramma quotidiano come il bellissimo 200 metri (2020) di Ameen Nayfeh o le toccanti testimoniante di Annemarie Jacir (Wajib, 2017). Spesso ricorre nel cinema palestinese il nome del regista-attore, Mohammed Bakri (Jenin Jenin, 2002), palestinese e cittadino israeliano, appartenente a quella minoranza che non se ne andò al momento della proclamazione dello stato di Tel Aviv nonché quello di suo figlio Saleh, carismatico interprete della nuova generazione. Senza voler distribuire ragioni e torti e senza far lezione di storia anche Saverio Costanzo col suo film d’esordio Private (2004) ha fotografato questa realtà drammatica, ma la testimonianza più impressionate è Edut di Shlomi e Ronit Elkabetz, costruito sulla memoria di una squadra di pattuglia israeliana e dei palestinesi fermati al check point di confine, proprio come ai tempi del Muro di Berlino. In questi frammenti di disagio, violenza, comprensione, orrore si leggono –a mio avviso – le radici di un conflitto quasi insanabile. E ancora ieri, molto ci dice Sarah e Saleem – Là dove nulla è possibile di Muayad Alayan (2018) sull’impossibile amore tra un’israeliana e un palestinese a Gerusalemme, una storia privata che diviene caso politico.

Dove vedere questo cinema, spesso oscurato dai media, faticosamente in cerca di distribuzione? In buona misura oggi ci aiutano le piattaforme, ma si tratta comunque di un percorso difficile in cui, fin troppo spesso, le domande si  moltiplicano e le risposte rimangono a mezz’aria. Per chi voglia capire di più consiglio almeno tre documentari: Broken Cameras (2011) ambientato in un villaggio della West Bank; The Zionist Story (2009) sulle origini di uno stato ebraico in Palestina; Peace, Propaganda and the Promised Land (2004) sulle manipolazioni dei media che fin troppo spesso deformano la realtà.

Giorgio Gosetti
14 Ottobre 2023

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