Simone Veil, una vita contro la barbarie nel film di Oliver Dahan

Va oltre il biopic il ritratto della donna che sopravvisse ad Auschwitz e da magistrata, ministra della Sanità e prima presidente del Parlamento europeo si batté ovunque per il rispetto della Dignità umana. In sala dal 30 gennaio


L’ingiustizia è ciò che odio di più al mondo”.

È una delle frasi pronunciate dalla 29enne attrice francese Rebecca Marder quella che rappresenta al meglio lo spirito della protagonista di Simone Veil – La donna del secolo (titolo originale Le voyage du siècle).

Dopo Le vien en rose (2007) e Grace of Monaco (2014), dedicati rispettivamente ad Edith Piaf e a Grace Kelly, il regista Oliver Dahan firma un film sulla vita di una delle colonne portanti del ‘900 europeo, uscito in Francia nel 2021, che nei cinema italiani approda solo il 30 gennaio, quattro anni dopo. Mentre a Marder è affidato il ruolo della giovane Simone, a interpretare Veil nell’età adulta è Elsa Zylberstein (nella foto in alto), che per prima ha fortemente voluto la realizzazione dell’opera.

©2020 –MARVELOUS PRODUCTIONS -FRANCE 2 CINÉMA -FRANCE 3 CINÉMA

 

La seconda guerra mondiale è ormai alle spalle, ma non le sue indelebili ferite, che tornano e torneranno nella mente di Simone a scandire tutta la durata del film: nata nel 1927 in una famiglia ebrea francese laica e illuminata, a 16 anni viene deportata nei campi di Auschwitz-Birkenau, Bobrek e, infine, Bergen Belsen. Sopravvissuta, studia scienze politiche e giurisprudenza ed è la prima presidente donna del Consiglio Superiore della Magistratura. Sposata con Antoine Veil (Olivier Gourmet) e madre di tre figli, è per tre volte ministro della Sanità, depenalizza l’aborto con la celebre legge che porta il suo nome, si batte con forza per i diritti delle donne, ma anche per quelli dei detenuti che versano in condizioni disumane sia nel suo Paese che in Algeria, come della drammatica situazione dei tanti malati di AIDS. Nel 1979 è eletta prima presidente donna del Parlamento europeo, a suffragio universale.

 

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Basata sui numerosi scritti della stessa Simone Weil, la ‘sotto-voce’ narrante si alterna calma ai suoi discorsi privati, pubblici e in parlamento. Il doppio registro scelto dal regista corre parallelo tra il presente, in cui la grande statista, già anziana, si dedica in riva al mare alla stesura delle sue memorie, e il passato più o meno remoto: il racconto, a tratti molto toccante, non segue cronologicamente la storia della sua vita, e il ritmo del film è come quello della corrente di un fiume, che immerge lo spettatore più o meno violentemente a seconda delle rapide che incontra, come in un classico flusso di coscienza. “Non sono dei flashback o dei flashforward, ma rime”, nell’idea di Dahan, “Rime di colori, suoni, parole”.

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Dobbiamo istituire un sistema di assistenza sanitaria obbligatoria per tutti i detenuti del Paese: si tratta di dignità, di democrazia. Di umanità, se preferite”, dichiara Veil alla fine degli anni ’50, da magistrato, dopo aver visitato le carceri, indicando una strada che in molti faranno fatica a comprendere per molti anni a venire: ennesima prova dell’estrema attualità del suo pensiero. “La detenzione non è l’eliminazione. Non è necessario aggiungere alla privazione della libertà la mancanza di cure, l’umiliazione morale e le catene”.

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Il dolore si alterna alla speranza che è l’unica sua cura, nel film di Dahan come negli scritti di Simone Weil: qualcosa che il regista traduce sul grande schermo passando da atmosfere, suoni, luci e colori del tutto diversi. Quelle che continuano a riaffiorare, infatti, non sono solo le immagini agghiaccianti dei campi di sterminio, dei treni, della fame, o della marcia della morte, ma anche quelle dell’infanzia felice e luminosa della piccola Simone, così come quelle degli sguardi di sua madre (Élodie Bouchez, nella foto qui sopra), e della grande complicità con il compagno della sua vita, Antoine, sempre al suo fianco.

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“I promotori della costruzione europea hanno capito che la pace deve essere molto più dell’ombra della guerra”, tuona Veil in una scena ambientata alla vigilia delle elezioni europee del 1979: “lo dico e lo ripeto, Europa significa pace!”

Quando scrivevo il film, mi sono chiesto se questa frase fosse ancora pertinente e attuale”, racconta ancora Dahan nelle note di regia, dedicando il documentario a suo padre Claude Dahan, militante antirazzista scampato ai tedeschi, che ha ispirato la sua opera: “la guerra in Ucraina ha risposto ai miei dubbi”.

Le voyage du siècle, dunque, non è solo un biopic, ma prima di tutto, nell’idea dello stesso autore, un film sulla trasmissione della storia. “Come definire la memoria?” si chiede Simone Veil nella parte finale del film, in cui è la sua stessa voce a ribadire: “Che ci piaccia o no, che lo sappiamo o meno, siamo responsabili di ciò che ci unirà collettivamente nel domani”.

 

Simone Veil – Le voyage su siècle

un film di Olivier Dahan

con Elsa Zylberstein, Rebecca Marder, Élodie Bouchez, Judith Chemla, Olivier Gourmet, Mathieu Spinosi

Dal 30 gennaio al cinema con Wanted

autore
30 Gennaio 2025

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