‘Silenzio!’, le solitudini di vittima e carnefice nella società dell’odio

Il dramma in forma di thriller di Teddy Lussi-Modeste, co-sceneggiato con Audrey Diwan, vede protagonista uno splendido François Civil e arriva al cinema il 27 febbraio. L’intervista al regista


Mi sento così in debito per quello che la scuola mi ha dato che non riesco a smettere”.

Così Teddy Lussi-Modeste, regista di Silenzio! (titolo originale Pas de vagues) scritto a quattro mani con Audrey Diwan (Leone d’Oro a Venezia 2021 per La scelta di Anne), spiega in due parole a Cinecittà News la sua ferma scelta di tornare a insegnare, nonostante l’assurda esperienza vissuta in prima persona: il film racconta infatti la sua storia, ovvero quella di Julien, un giovane professore di francese – lavoro di Lussi-Modeste prima di dedicarsi anche alla regia – accusato ingiustamente da una studentessa di aver voluto sedurla. Una vicenda drammatica quanto angosciante, che con il ritmo del thriller immerge fin dal primo fotogramma lo spettatore nel lento ma inesorabile precipitare del protagonista in un incubo ad occhi aperti, lasciato completamente solo di fronte a pettegolezzi inventati e poi amplificati dai social, che arrivano perfino a farlo minacciare di morte. Quando la situazione diventa incontrollabile, Julien spera di poter contare almeno nel sostegno del dirigente scolastico, ma il suo unico consiglio è, per l’appunto, ‘il silenzio’.

Silenzio!, interpretato da uno straordinario François Civil (Bac nord, I tre moschettieri, L’amore folle) e da Shaïn Boumedine, Mallory Wanecque e Bakary Kebe con la colonna sonora originale di Jean-Benoît Dunckel, arriva in sala il 27 febbraio con No.Mad. .

“Sono nato in una famiglia gitana, ovvero un contesto in cui la maggior parte dei bambini smettono di andare a scuola dopo i 16 anni”, continua il regista francese, al suo terzo lungometraggio dopo Jimmy Rivière (2011) e Il prezzo del successo (2017). “Provenendo da tale ambiente, misuro tutto ciò che la scuola mi ha dato, tutto quello che i miei insegnanti mi hanno trasmesso, in un modo di vedere il mondo, di capirlo con la sua complessità e le sue sfumature…”

Il regista di ‘Silenzio!’, Teddy Lussi-Modeste

 

Il fatto che un insegnante possa da un giorno all’altro essere accusato tanto ingiustamente ha dell’incredibile. Come e a che punto dell’incubo è nata in lei l’idea di raccontare tutto in un film, e quanto questa scelta è risultata catartica?

“Con Audrey Diwan, la mia co-sceneggiatrice, eravamo bloccati su un progetto che stavamo cercando di sviluppare da diversi mesi. Abbiamo fatto una riunione con il nostro agente comune che ci ha suggerito questo argomento che è poi diventato Silenzio!. La storia vera, che è il punto di partenza di questo film, era già dietro di me, ed era venuto il momento di liberarmene attraverso il cinema. Fin dall’inizio, ci siamo autorizzati a insistere su alcuni punti, per raccontare una storia che fosse la più forte possibile. Il personaggio si è distaccato da me e ha imposto la sua propria narrazione. Per quanto riguarda me, è stato continuare il mio lavoro di insegnante che mi ha aiutato”.

 

In Italia il film esce con il titolo Silenzio!. Il titolo originale è #Pasdevagues, che è anche il nome di un movimento di insegnanti in Francia. Quanto è colpevole il silenzio della società in storie come queste? Quanto è colpevole l’omertà delle istituzioni, e la scomparsa quasi totale della solidarietà (anche quella di chi ti sta più vicino) ?

“Il titolo italiano è interessante. Ha un lato incisivo, lapidario. Il film racconta la storia di un insegnante e di una studentessa, che sono entrambi coinvolti.  È importante per me non opporre questi due personaggi. Al contrario, hanno una traiettoria parallela. La specificità di questa storia infatti è che non c’è un colpevole e una vittima, ma due vittime. E in un certo senso, anche il fratello dello studente, quello che minaccia di morte l’insegnante, è una vittima: a 20 anni si ritrova a doversi occupare da solo della sua famiglia… Scegliendo il titolo, ho fatto la scelta di inserire il film nel movimento di liberazione della parola dei professori. L’hashtag #PasDeVagues è nato negli anni 2010, ma ha conosciuto un vero risalto mediatico nel 2018, quando sono uscite delle immagini in televisione e sui social network, in cui si vede uno studente con un’arma fittizia puntata verso la sua professoressa. L’arma era finta, ma il simbolo era devastante. In quel momento, molti professori hanno deciso di parlare della violenza che avevano subito e della solitudine in cui si trovavano. Non credo che si possa parlare di omertà, perché dietro a questo silenzio non c’è un progetto. Pertanto, credo che dobbiamo continuare a sviluppare protocolli più efficaci per proteggere i professori minacciati. Il governo ha fatto progressi su questi temi. È stato necessario. Voglio ricordare che in Francia negli ultimi anni, tre professori sono stati assassinati sul posto di lavoro o in prossimità della loro istituzione. Può bastare una piccola cosa per far andare male le cose: un corso mal interpretato, un telefonino sequestrato…”

In che modo il disagio sociale e familiare dei ragazzi li ha trovati più facilmente ‘permeabili’ dal bisogno collettivo di trovare una vittima? Quanto l’abuso dei social media aggrava le situazioni di questo tipo?

“Questa storia potrebbe succedere ovunque. I rapporti sociali si sono inaspriti. Il fenomeno viene amplificato dai social network a causa della loro viralità e della mancanza di controllo. Gli insulti e le minacce si moltiplicano senza che ci siano vere protezioni in atto. Ho fatto questo film contro questi discorsi di odio che ci mettono l’uno contro l’altro. La società, per essere una società, ha più che mai bisogno di una trasmissione tra insegnanti e studenti. Per fare società, c’è bisogno di una base comune. C’è bisogno di riunirsi attorno a valori umanisti, quelli che si imparano proprio a scuola”.

 

Più il film trascorre, più ci si rende conto che ci vuole un solo attimo per diventare una vittima – rischiando perfino la vita – e che questo può accadere, come lei ha detto, ovunque, e ad ognuno di noi. Specialmente se siamo impegnati in alcuni ruoli ‘chiave’ della società. Cosa si può fare per dare voce alle vittime? 

“Bisogna riuscire a ‘ri-santuarizzare’ la scuola. L’ultima battuta del film è « Ha aperto la porta» : per me è un simbolo. Abbiamo permesso alle tensioni che attraversano la società di entrare nella scuola. E per lottare contro questo, ci vogliono più mezzi e dobbiamo riaffermare la nostra fiducia nella scuola della repubblica”.

Quando il film è uscito in Francia ha suscitato alcune assurde polemiche, come se la denuncia di quanto gli insegnanti siano abbandonati a loro stessi fino a diventare vittime potesse in qualche modo scoraggiare o mettere in secondo piano le denunce – sempre troppo poche – delle vittime di molestie sessuali.

“C’è stato un po’ di trambusto quando è uscito il trailer un mese prima dell’uscita del film. Ci sono state delle interpretazioni sbagliate che sono scomparse quando il film è stato visto. Un trailer di 1 minuto e 30 secondi non può offrire la complessità di un film di 1 ora e 30 minuti… Gli spettatori si sono resi conto che il film era incentrato sul disagio dei professori e non sulle false accuse. Il film parla da solo”.

 

La grande forza del film sta nell’aver voluto mostrare la reale complessità di tutti i personaggi, mostrando le ragioni di ognuno. Sembra essere questo, assieme alla straordinaria interpretazione di François Civil, ad averle permesso di eliminare del tutto la ‘quarta parete’ dal primo all’ultimo minuto.

“Abbiamo cercato di dare complessità a ciascuno dei personaggi ricordandoci l’aforisma di Jean Renoir : ‘Ognuno ha le sue ragioni’… Infatti il personaggio di Julien è un idealista, ma a questo idealismo si mescola una forma di orgoglio. Dice al suo compagno che vuole essere come quel professore che ha cambiato la sua vita… È ambizioso ma è anche un po’ orgoglioso… François (Civil, ndr) ha contribuito molto al personaggio e al film nel suo insieme. È lui che porta il film. Il paradosso con François è che è una star molto identificata ma si possono proiettare su di lui tutti gli universi possibili. Questo deriva dal suo lavoro ma anche dall’empatia immediata che provoca. E poi è un attore che ha già dietro di sé una bella filmografia. Con questo film, volevo illuminare un altro lato del suo talento offrendogli un ruolo che era lontano da lui. Forse François si è proiettato così tanto in questo film perché entrambi i suoi genitori erano stati insegnanti e in un certo senso ha voluto rendere loro omaggio interpretando un insegnante”.

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26 Febbraio 2025

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