Rossini inedito alle Giornate degli Autori

Genio, sregolatezza e difetti di un maestro dell’800 in Caro Gioachino, docufilm breve di Stefano Gargiulo che omaggia il Maestro nei 150 anni dalla scomparsa


VENEZIA –   Una camera morbidissima esplora gli ambienti del prestigioso teatro partenopeo S.Carlo, entrando nella stanze, accarezzando affreschi e tessuti, infilandosi nel suo cuore e squarciandone la tenda d’ingresso verso il proscenio, con una calda e vivace voce fuori campo che recita la “propria” biografia, ovvero quella del Maestro Rossini, in prima persona. Siamo nel periodo in cui Napoli era la capitale musicale europea, l’orchestra del San Carlo la più acclamata, “ed io librettista e scenografo”: io è Gioachino Rossini, “il Mozart italiano”, compositore sin dall’età di quattordici anni (suoi Il barbiere di Siviglia, L’italiana in Algeri, La cenerentola). “Dopo la caduta di Napoleone, c’è stato un altro uomo del quale si parlava ogni giorno a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta. La gloria di quest’uomo non conosce limiti … a tale nome, due secoli orsono, legai il mio … Stendhal il mio nome”, così recita un’altra voce fuori campo, che si dissolve dal vero su quella dell’attore Pietro Pignatelli, interprete dello scrittore francese che nel 1824 scrisse La Vie de Rossini, un libro fantastico, in tutti i sensi. Pignatelli che, nel frammezzo delle scene, interpreta anche Domenico Barbaja, direttore musicale del Teatro dal 1815 al 1822, colui che portò Gioachino Rossini a Napoli. Entra in scena in un salottino del Teatro, dapprima nei panni di Stendhal, in una dimensione sospesa tra passato e presente, tra artificio (il trucco, il costume) e massimo realismo. “Caro Gioachino”, è poi l’incipit del dialogo, in monologo, recitato da Barbaja, in cui celebra e critica il compositore: l’uno (Barbaja) in piedi di profilo dinnanzi all’altro (Rossini) presente in forma di busto marmoreo, in un voluto controluce che oscura entrambi e lascia luce solo all’azzurro del cielo che gli fa da sfondo. La narrazione si basa sull’analisi dell’opera Mosè in Egitto, in scena nel 1818 e riproposta dal San Carlo in occasione del bicentenario, di cui si fa interprete la soprano Carmela Remiglio: “Nell’interpretare il Rossini del suo tempo, ho cercato di dare tutta la mia voce, l’anima e il mio corpo di cantante lirica e donna di oggi, unendo presente e passato grazie alla musica e cercando di collegarmi a quella magica atmosfera ottocentesca che il regista Stefano Gargiulo ha saputo trasmettere bene, anche grazie alla scelta di utilizzare, per comporre i commenti musicali del film, il vero pianoforte posseduto da Rossini negli anni del periodo napoletano”.

Nato a Pesaro nel 1792 e scomparso in Francia, a Passy, nel 1868, Gioachino Rossini è protagonista di questo corto, a 150 anni dalla morte. L’idea del docufilm è raccontare frammenti della vita artistica e quotidiana del Maestro, un soggetto che nasce dall’incontro con Sergio Ragni (nel film nel ruolo di se stesso), collezionista e curatore dell’epistolario rossiniano, nella sua casa museo, che getta una luce inedita sul Rossini uomo che, come tutti i compositori dell’800, ci è stato tramandato come esempio di virtù e generosità. “Il personaggio di Rossini viene spesso molto frainteso e come uomo andrebbe privato di quella polvere di perbenismo che lo circonda. Io cerco sempre di dissacrare il personaggio, pur amandolo profondamente tanto da vivere in un luogo circondato dai suoi oggetti e dalla sua vita. Dal suo epistolario viene fuori che nella sua vita era di una prepotenza estrema e di una assoluta sopraffazione nei confronti di tutte le persone che lo circondavano. Un comportamento che amplifica quando diventa celebre e consapevole del proprio genio e del proprio potere che esercita anche nei confronti dei propri genitori. Gli ideali di Rossini sono tutti nella sua musica in cui addita sempre un mondo migliore, non bel suo comportamento. C’è un divario enorme tra le sue azioni quotidiane e ciò che prescrive al pubblico”.

Il film è dalla Fondazione Teatro di San Carlo in collaborazione con RAI CINEMA, per la regia di Stefano Gargiulo: “In tutti i miei lavori cerco sempre di capire la realtà del personaggio a di là di quello che ci viene tramandato. Mi ha stupito scoprire un lato di Rossini che non mi aspettavo: un certo tipo di l’atteggiamento opportunistico con le donne, anche il rapporto con la madre con cui ha un’enorme confidenza e a cui racconta anche tutti i suoi incontri galanti. Comprendere questi caratteri molto moderni mi ha permesso di raccontare Rossini in continuità con la contemporaneità”.  

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