Romana Maggiora Vergano avrebbe dovuto seguire la carriera dei genitori e fare il medico. Mancavano pochi giorni al test di ammissione all’università, quando un po’ per caso ha messo piede per la prima volta su un set (di Immaturi-La serie) per una semplice figurazione. È rimasta talmente affascinata da quel mondo da capire che il suo destino era recitare. Oggi a 25 anni, dopo aver studiato alla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté, e partecipato a progetti tra cinema, tv e teatro (dalla serie Christian ai film Siccità di Paolo Virzì e Anni da cane di Fabio Mollo) è sicura della scelta che ha fatto. E, piano piano, sta iniziando a raccogliere i frutti nel suo lavoro.
In Come le tartarughe diretto da Monica Dugo, presentato in anteprima all’ultimo Giffoni Film Festival, e attualmente nelle sale, interpreta Sveva, la figlia 16enne della protagonista che cerca di aiutare la madre a uscire dall’armadio in cui si è rinchiusa dopo che il marito l’ha lasciata. La vedremo anche nell’opera prima di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, che inaugurerà il prossimo 18 ottobre la 18esima Festa del cinema di Roma. Nel dramedy in bianco e nero ambientato negli anni Quaranta è Marcella, primogenita di Delia (la stessa Cortellesi), che spera di sposarsi il prima possibile con Giulio, ragazzo di ceto borghese, per liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante.
Romana, la ragazza che interpreti in Come le tartarughe cerca di spronare la madre a reagire. Quanto ti somiglia?
Mi ha abbastanza sorpreso interpretare Sveva. Quando abbiamo girato il film avevo 23 anni ed è stata un’occasione poter rivivere per me in qualche modo l’adolescenza. Ho cercato di riportare alla mente le sensazioni che ho vissuto quando avevo 16 anni, un’età in cui hai sempre la risposta pronta a tutto e vuoi sembrare più grande. Sveva è costretta a essere più matura per aiutare la madre chiusa nell’armadio. I ruoli tra loro si ribaltano. Ha un atteggiamento un po’ scontroso e aggressivo col fratellino, ma è un modo per dimostrargli affetto. Mentre giravamo sono andata a vivere da sola, ho preso in mano la mia vita, ma mi sono sentita di voler essere ancora figlia. Ed è quello che a un certo punto chiede Sveva alla madre, perché anche lei è vulnerabile e fragile. Volere il sostegno dei genitori è importante, anche quando cresci.
L’anteprima al Giffoni è stata un’occasione importante di confronto con il pubblico.
Io e Monica abbiamo incontrato tanti genitori, anche separati, che erano lì insieme ai figli. Guardando il film si sono sentiti capiti. rincuorati in qualche modo. Spesso si dà un po’ per scontato che i ragazzi non riescano a capire certe situazioni, ma ai giovani vanno sempre spiegate le cose come stanno.
Quanto ancora oggi il cinema può aiutare anche ad affrontare determinate tematiche?
Credo che un film possa farti sentire meno solo, alleviare anche un dolore. È un momento di condivisione unico soprattutto in sala.
Perché hai scelto di fare l’attrice?
I miei genitori sono entrambi medici e sono cresciuta pensando di diventarlo anche io. Stavo per sostenere il test di medicina all’università, quando poco prima mi è capitata l’occasione di fare una figurazione in Immaturi-La serie. Facevo una maturanda. Quando ho messo piede su quel set sono letteralmente impazzita. Sono rimasta affascinata da ogni cosa intorno a me, da tutta quella macchina gigantesca. Sono tornata a casa e la prima cosa che ho detto a mia madre è stata che quel test non lo avrei potuto fare. Lei ha tirato un sospiro di sollievo, con mio padre è stato un po’ più complicato, ma alla fine è andato tutto bene. Spesso un figlio ha paura del giudizio dei genitori, invece bisogna sempre dire sempre tutto.
Presto ti vedremo in C’è ancora domani. Presentando agli esercenti il film a Ciné, a Riccione, Cortellesi ha speso delle bellissime parole su di te, dicendo che sei una giovane attrice che farà strada.
Mi emoziona sapere che una donna come lei, che stimo enormemente, abbia pronunciato queste parole. Lavorarci insieme è stato un sogno, qualcosa di speciale. Per me è stato un ruolo importante, come raccontare la giovinezza degli anni Quaranta e in bianco e nero. C’è ancora domani è un film sorprendente.
Per gli attori della tua generazione senti ci sia una possibilità maggiore di espressione al cinema e nelle serie?
Ci sono tanti progetti rivolti a un pubblico di ragazzi e giovani adulti e per i giovani attori le possibilità sono sicuramente aumentate. Speriamo ce ne siano sempre di più anche nei film autoriali. Alla nostra età siamo delle spugne e fare più esperienze possibili, affrontando anche sfide difficili, è molto importante.
Senti che oggi ci sia un’attenzione maggiore verso lo sguardo femminile?
Pe me effettivamente è stato l’anno delle donne. Ho lavorato con Monica e Paola, e ho preso parte anche ad altri progetti femminili di cui ancora non posso parlare. Non penso, però, ci sia bisogno di sottolineare se un film lo scrive, lo dirige o interpreta una donna, creando un caso. Credo che i progetti e l’arte debbano parlare da soli.
Quali sono gli autori con cui ti piacerebbe lavorare?
Come italiani potrei dire i classici Sorrentino e Garrone, ma un regista dal quale vorrei essere diretta è Daniele Luchetti. Se potessi scegliere un internazionale, direi Pablo Larraín. Mi piace il suo punto di vista, i personaggi che sceglie di raccontare, i movimenti di macchina. È un regista che ho scoperto da poco, ma mi ha colpito molto.
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