Roberto Faenza: “La verità sta in Vaticano”

La verità sta in cielo di Roberto Faenza, in sala in 250 copie il 6 ottobre con 01, vuole riaprire il caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un messo pontificio sparita nel nulla


“La verità sta in terra ma è di difficile accesso e questo è duro da accettare per Pietro Orlandi e per tutti noi cittadini a cui sta a cuore capire e sapere cosa è realmente accaduto”. Così Maya Sansa sintetizza il senso civile del nuovo film di Roberto Faenza, La verità sta in cielo, in sala in 250 copie il 6 ottobre con 01. Un film che vuole riaprire il caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne, figlia di un messo pontificio, sparita a Roma il 22 giugno 1983 e mai più ritrovata. Il film immagina che una giornalista italo-inglese (Maya Sansa) venga inviata a Roma, trent’anni dopo i fatti e alla luce dell’inchiesta su Mafia Capitale, per indagare su questo cold case. Incontrerà Raffaella Notariale (Valentina Lodovini), la cronista di Chi l’ha visto? autrice di un libro di rivelazioni scritto insieme alla testimone chiave Sabrina Minardi (Greta Scarano), che fu per un decennio amante di Enrico De Pedis detto Renatino (Riccardo Scamarcio), usuraio legato al malaffare della Capitale, caduto sotto i colpi della banda della Magliana, ma sepolto nella Basilica di S. Apollinare nonostante i suoi trascorsi criminali. Insomma il film mostra come il rapimento di Emanuela si consumò all’ombra di corruzione, banditismo e trame vaticane. 

“Per la prima volta un pontefice, Papa Bergoglio, ha ammesso che Emanuela è morta, parlando con la famiglia ha detto che lei ora è in cielo. E’ arrivato il momento di proseguire le indagini, basta poco per tirare fuori quello che veramente si sa e che è contenuto in un dossier vaticano secretato”, spiega il regista, da sempre appassionato di inchieste, da JFK a Via Poma. Strutturato come un po’ come un doc tv, ma strizzando l’occhio ai recenti gangster all’italiana, La verità sta in cielo si basa su una ricerca puntigliosa, contenuta anche nel romanzo tratto dal film a cura di Vito Bruschini (lo pubblica Newton Compton): “Più che un documentario – dice ancora Faenza – sul caso Orlandi si potrebbe fare una serie all’americana, tanti sono i personaggi coinvolti”. Per ora è stata realizzata, da 01 Distribution in collaborazione con Comingsoon.it, Sulle tracce di Emanuela, una web serie in cinque episodi per dispositivi mobile. “La magistratura – prosegue il regista e docente – ha chiuso le indagini perché non ritengono le prove sufficienti per andare a processo, ma se leggete le 87 pagine dell’archiviazione ci sono tutti gli elementi. E la documentazione in mano al Vaticano di cui si parla nel film esiste veramente. Perché il Vaticano non la tira fuori? Mi illudo che Papa Francesco creda nella trasparenza”.

Faenza, insieme agli sceneggiatori Pier Giuseppe Murgia e Raffaella Notariale, segue, tra le mille ipotesi formulate sul caso, quella legata all’operato di monsignor Marcinkus, al debito dello Ior e all’omicidio di Calvi. E viene apertamente fatto riferimento all’ingente investimento di denaro voluto da Papa Wojtyla per sostenere Solidarnosc. “Questa storia – dice ancora il cineasta – coinvolge un pontefice che è appena stato fatto santo, Giovanni Paolo II usò il denaro per far cadere una dittatura e non credo sapesse cosa stava facendo Marcinkus”. Tra le sue fonti ci sono i molti magistrati che si occupati della vicenda e, naturalmente, la famiglia Orlandi. “Temevo che un coinvolgimento emotivo ci allontanasse dalla ricerca, ma Pietro Orlandi si è dimostrato preparato anche a livello di indagine storica”, confida.  Ed è lo stesso fratello di Emanuela a rincarare la dose: “Il procuratore capo Giuseppe Pignatone ha richiesto l’archiviazione anche se ci sono ci sono molti elementi indiziari aperti, ma ha preferito chiudere tutto”. E ribadisce l’invito al Vaticano a rendere finalmente pubblici i dossier secretati.

Vi hanno messo i bastoni tra le ruote? “Qualche minaccia c’è stata, su internet mi additano come un bugiardo, i fratelli di De Pedis vorrebbero bloccare il film, i loro avvocati hanno chiesto di vederlo, e dicono che Renatino è morto incensurato e che Sabrina era una drogata inattendibile. Ma non ho ricevuto più minacce di quando feci il film su Don Puglisi”. Quanto agli ambienti cattolici: “Ho fatto vedere il film a miei amici sacerdoti, se vogliono saranno loro a parlare. Del resto mostro la Chiesa nelle sue due anime, come luogo della parola di Cristo e come luogo del diavolo”.

Faenza racconta della difficoltà di montare il progetto, prodotto da Elda Ferri per Jean Vigo insieme a Rai Cinema: “Ho tentato di farlo prima, bussando a molte porte, non avrei mai pensato che sarebbe stata la Rai a sostenermi con grande coraggio. Quando Del Brocco ha detto sì sono rimasto sorpreso”. Insiste sull’attendibilità di ciò che viene mostrato nella finzione. “Anche le scene inventate sono legate a vicende vere, come l’episodio in cui un prete dice che Emanuela sarebbe viva, è successo davvero alla famiglia, la madre si è recata in Lussemburgo per incontrarla. Non sono solo un regista ma anche un ricercatore, il mio libro Il malaffare del 1978 è stato citato dal procuratore Jim Garrison negli Stati Uniti per i documenti che produceva sull’assassinio di Kennedy. Non sono uno che si inventa le cose e anche la parte costruita su ipotesi è molto credibile”.

Tra i personaggi più interessanti proprio quello della testimone chiave Sabrina Minardi: “Da giovanissima – racconta Faenza – sposò un centravanti della Lazio, Bruno Giordano, poi coinvolto nel calcio scommesse, divenne amante del boss De Pedis, prostituta, poi volle collaborare con l’inchiesta, è una storia scespiriana la sua”. “Un personaggio che è una sfida”, aggiunge Greta Scarano che la interpreta nelle due età, giovanissima e cinquantenne, ormai rovinata dalla droga. “Una ragazza ingenua che viene travolta in un vortice, diventa amante e vittima di De Pedis in questo rapporto torbido, poi cerca di redimersi grazie alla giornalista che la intervista con cui intrattiene una relazione molto profonda”. E tutti gli interpreti, che hanno lavorato a paga sindacale pur di far parte del progetto, sottolineano la necessità del film. Per Valentina Lodovini “è buono e giusto riaprire il processo”, per Scamarcio “Faenza sa assumersi il rischio di un film indagine con serietà e coraggio”, per Shel Shapiro (il caporedattore inglese) “tirare fuori la verità in un paese che non approfondisce mai niente e archivia tutto ciò che è scomodo, è indispensabile”. 

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29 Settembre 2016

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