TORINO – Laura Morante è protagonista del biopic di Roberto Faenza, Folle d’amore Alda Merini, presentato al TFF 2023 fuori concorso. Della celebre poeta milanese (1931–2009), che si autodefinì “la pazza della porta accanto”, il film per la tv, scritto con Lea Tafuri, coglie soprattutto la vicenda personale e il rapporto con i due mariti: il primo, Ettore Carniti, di estrazione popolare, panettiere, con cui ha le quattro figlie, cresciute poi lontano da lei, e il secondo, Michele Pierri, medico tarantino e poeta molto più anziano (Mariano Rigillo) a cui si legò prima con un intenso rapporto epistolare e telefonico e poi scegliendo di trasferirsi in Puglia.
Il film ci mostra Alda in tre età della vita. Poco più che bambina, talento adolescente e vorace (Sofia D’Elia), che comincia a essere conosciuta nell’ambiente letterario grazie all’incontro con il critico Giacinto Spagnoletti e che stringe un legame sentimentale con Giorgio Manganelli, quindi nella giovane età segnata dalla lunga degenza in manicomio (Rosa Diletta Rossi), infine nella maturità in cui si racconta al giovane amico Arnoldo Mondadori nel disordine fertile della casa sui Navigli, tra una sigaretta e l’altra (Laura Morante).
L’ottantenne Roberto Faenza, David di Donatello per Jona che visse nella balena, dopo il recente Hill of Vision sul premio Nobel Mario Capecchi, ha realizzato il film, prodotto da Elda Ferri e Fabia Petrocchi (Jean Vigo e Rai Fiction), girato a Torino con il sostegno della Torino Piemonte Film Commission.
“Alda Merini ha ottenuto in vita molti riconoscimenti e attestati di stima in ambito letterario e la sua poetica, tutt’altro che popolare in senso stretto, ha conquistato il cuore di un vasto pubblico, anche nelle generazioni giovani – afferma Faenza – Ecco perché è interessante raccontare come Alda sia riuscita a tradurre in versi un immaginario straordinariamente ricco e universalmente riconoscibile”.
Nel cast anche Federico Cesari, Luca Cesa, Alessandro Fella, Giorgio Marchesi, Francesca Beggio, Ludovico Succio.
Laura Morante, che al festival riceverà il Premio speciale Fondazione CRT, leggerà i suoi versi affiancata da Vivian Lamarque in un reading musicato da Issei Watanabe e ospitato dalla Chiesa di Santa Pelagia di Torino.
Il film, che andrà in onda su Raiuno nella primavera 2024, si conclude con Lirica antica, un brano interpretato e composto da Giovanni Nuti che ha musicato una delle poesie più famose e apprezzate di Alda, incontrata nel 1993: dalla loro collaborazione – che la poeta definiva ‘matrimonio artistico’ – sono nati diversi spettacoli che li videro protagonisti insieme sul palcoscenico e numerose incisioni.
Giorgio Marchesi, che ha il ruolo dello psichiatra illuminato che libera Alda dai metodi violenti e coercitivi, afferma: “per una donna così creativa era difficile conciliare la vita domestica con un marito tradizionale che faceva fatica a capirla, ma il dottor Gabrici comprese che genio e follia si toccano e iniziò a considerare la persona, ad ascoltarla, dandole una macchina da scrivere con la quale è tornata a vivere. Alla pubblicazione del libro Lettere al dottor G lui non sapeva neppure di questi testi scritti per lui. Arrivò a 100 anni di età e non la dimenticò mai”.
Per Rosa Diletta Rossi, “Alda è un personaggio che ha dentro tante cose. Per raccontarla nei 13 anni del manicomio, mi sono ispirata al suo libro L’altra verità Diario di una diversa, scritto una volta uscita dall’ospedale. Contiene messaggi contrastanti, vi si trovano affermazioni come ‘chi vive di pura immaginazione, prima o poi impazzisce’ ma anche ‘credo nella mancanza di amore, non credo nella follia’. È stata un personaggio talmente strabordante che non poteva essere confinato dentro una struttura sociale rigida. Nonostante gli elettrochoc e i farmaci, continuò a ricercare l’amore del marito e, grazie all’aiuto del dottor Gabrici, trovò il modo di curarsi attraverso le parole. Era una donna beffarda, ironica, con una follia d’amore enorme”.
Laura Morante racconta: “Sono arrivata al progetto tardi, sostituendo un’altra attrice. Non ho avuto molto tempo per prepararmi. Conoscevo le sue poesie, ma non sapevo quasi niente di lei. Ha avuto una notorietà tardiva ma molto forte, diversamente da Sibilla Aleramo – che ho interpretato per Michele Placido – e che nessuno ricorda. Non ci somigliamo fisicamente, lei era milanese, io toscana. Ho guardato sue interviste e mi sono resa conto che lei è molto variabile, a volte acuta e sensibile in modo quasi magico, altre volte sembra una donnetta che dice banalità, ed è quasi reazionaria. Lei parla e scrive come se ascoltasse una voce, come se qualcuno le parlasse all’orecchio. Si dice anche di Maria Callas che è sublime quando canta nella vita non particolarmente interessante”.
Roberto Faenza, come si è approcciato al personaggio Merini?
Non è stato facile, è un personaggio attuale, controverso, con aspetti difficili da gestire. Mi ha aiutato molto Arnoldo Mondadori jr. che è stato vicino a lei negli ultimi dieci anni della sua vita e ci ha raccontato una Merini molto diversa. È stata descritta come una psicopatica, invece, benché abbia sicuramente sofferto, era piena di intelligenza, ironia, cose che ha portato nelle sue poesie. Spero che siamo riusciti a dare un’immagine inconsueta. Non la malata, ma la poeta piena di energia, di voglia di vivere, circondata di amici affettuosi.
Ha visto i documentari di Antonietta De Lillo su Alda Merini?
Sì, molto interessanti, un bellissimo lavoro di una bravissima autrice.
Il tema della follia femminile, storicamente legata a comportamenti fuori norma, al non adeguarsi ai doveri coniugali o alle incombenze casalinghe, si rispecchia anche nella vicenda manicomiale di Alda, che viene ricoverata a forza dopo una lite col marito.
Arnoldo Mondadori mi ha raccontato risvolti della sua vita molto diversi da quelli che vengono tramandati. Alda Merini viene dipinta come una donna molto disturbata, una persona non sana di mente, cosa che lei non è mai stata, ha avuto la sfortuna di essere ricoverata quasi senza ragione, come si faceva una volta. Lei un giorno ha dato di matto, ha preso a sediate il marito, subito l’hanno presa e portata in manicomio, cosa che oggi non accadrebbe. Da lì è cominciato un tragitto tragico, è stata ricoverata in uno dei posti più atroci. Infine, grazie all’incontro con medici intelligenti e preparati, è uscita da questo braccio mortale, sono riusciti a capire qual era il suo vero animo, quello di un poeta, poeta non poetessa, come lei stessa dice. Grazie a questo recupero della sua vita quotidiana è riuscita a diventare quello che sappiamo, forse la più grande poeta italiana del Novecento.
Lei si è occupato spesso della mente, per non dire della follia. C’è un’attrazione irresistibile per questi temi.
Io stesso non mi considero molto equilibrato. E’ vero, c’è un’attrazione personale verso la follia che ritengo sia l’espressione più lucida della mente. Le persone non folli non sono persone del tutto normali, secondo me. Ho fatto diversi film su questi temi, quello su Sabina Spielrein (Prendimi l’anima) e I giorni dell’abbandono. Sono film che mi fanno confrontare con un tema che a mio avviso viene ghettizzato, mentre fa parte della nostra esperienza quotidiana e artistica.
Dopo il fortunato esordio con Tutte le mie notti, Manfredi Lucibello porta in concorso al 41° TFF, Non riattaccare, thriller storia d’amore ambientato durante la pandemia con Barbara Ronchi nel ruolo di Irene, una donna in corsa contro il tempo per salvare il suo ex, Pietro (Claudio Santamaria) da un possibile atto disperato.
Tante le proiezioni sold out al festival diretto per il secondo anno da Steve Della Casa, occupazione media delle sale del 53,62%
Il discorso di commiato del direttore artistico del Torino Film Festival alla fine di un biennio che lo ha visto imporsi come una manifestazione “dialogante” e “strabica”, capace cioè di guardare insieme al passato e al futuro
Il film Philip Sotnychenko vince il Concorso lungometraggi internazionali, Notre Corps di Claire Simons è il Miglior documentario internazionale e Giganti Rosse di Riccardo Giacconi il Miglior doc italiano