Roberto Benigni


Nei giorni del Festival Cinema &/è Lavoro, Roberto Benigni è stato a Terni. Soprattutto per accogliere il regista inglese Ken Loach in quella che Benigni stesso definisce “una città che mi ha regalato amori, bellezze e soddisfazioni”.

Benigni, cosa l’attrae in particolare di Terni?
Vicino Terni, negli stabilimenti di Papigno, ho buttato l’anima realizzando Pinocchio. Ci ho fatto all’amore con questa città, che è la capitale del lavoro, ma anche dei sentimenti, visto che San Valentino è il suo patrono. E poi ho seguito tutti gli scioperi nelle acciaierie della Thyssen-Krupp: anche io, come Loach, tifo per questi coraggiosi operai. A Terni, ci vivo bene, sono ormai di casa e ricevere Loach a Terni è stato come sperare di avere Lars Von Trier a Narni. Mi piace il lavoro, ma specialmente stare a guardare la gente che lavora, come direbbe un mio amico.

Qual è la sua opinione di Ken Loach regista?
L’ho incontrato per la prima volta a Terni, ma conosco a memoria tutti si suoi film e non vedo l’ora che ne realizzi uno nuovo per scoprire cosa s’inventa nel suo percorso artistico. Loach parla di gente che lavora, ma non è interessante solo per questo. In verità Ken è un narratore straordinario: nei suoi film unisce la gioia e il dramma, l’ironia e l’umorismo attraverso la semplicità delle storie. E poi come si fa a non amare i registi che trattano i temi del lavoro e della povera gente?.

I suoi prossimi progetti artistici?
Fin dall’inizio della mia carriera, sono rimasto colpito da un racconto di Nicolaj Semenovic Leskov, “Il viaggiatore incantato”. Nelle sue opere, Leskov mescola l’umorismo di Gogol con l’eleganza di Turgenev e la morale propria di Tolstoj. Questo libro raccoglie una serie di storielle popolari, narrate su un battello, sul lago Ladoga, da un curioso monaco pellegrino. Tutto viene raccontato con uno schietto umorismo, e c’è un racconto in particolare al quale mi piace ispirarmi. Leskov descrive un gruppo di uomini che tentano invano di trascinare nel bosco un enorme e pesantissimo tronco d’albero, finché arriva uno scrittore, il quale, invece di aiutarli, monta in piedi sul tronco e si mette a cantare. Sotto le note di quel canto gli uomini riescono, alla fine, a trasportare il grosso tronco. Così, l’artista aiuta a sopportare i pesi del mondo.Il lavoro è duro e se le persone non hanno qualcuno che ricorda loro l’amore o l’allegria, la gioia del vivere passa. Ed è proprio questa la mia missione: raccontare storie allegre, picaresche, tra miseria e ignoranza popolare, tra nobili, mercanti, burocrati e contadini.

26 Aprile 2004

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