Richard Gere: quella prima volta in Italia accanto a Giulietta Masina

L'attore ricorda di essere venuto nel nostro paese 36 anni fa, quando a Roma ritirò il David come Miglior interprete straniero: “Ero accanto, nel backstage, a una grande attrice. Non lo dimenticherò"


TAORMINA. Richard Gere, che stasera ritirerà il Taormina Art Award, ricorda di essere stato la prima volta in Italia 36 anni fa, quando a Roma ritirò il David di Donatello come Miglior interprete straniero: “Io giovane attore ero accanto, nel backstage, a Giulietta Masina una grande attrice che ha lasciato il segno nella collaborazione con Federico Fellini. Non lo dimenticherò”. L’attore americano è protagonista di una Tao Class affollatissima, con pubblico a prevalenza femminile al quale l’attore si concede, rispondendo a tutte le domande. “Ricordo di aver ricevuto il più bel complimento, durante una conferenza stampa a Sarajevo, da una giovane giornalista che mi disse: non le chiedo nulla ma ho solo una dichiarazione d‘affetto a nome di tre generazioni, mia nonna, mia madre ed io”.

Gere ha finito di girare un mese e mezzo fa
Oppenheimer Strategies, con Lior Ashkenazi, Michael Sheen, diretto dal regista israeliano Joseph Cedar, vincitore a Cannes 2011 di un Premio per la Migliore sceneggiatura: “Sono un ebreo di New York che si sente messo ai margini, millanta perciò conoscenze importanti perché vorrebbe essere ammesso alla tavola dei grandi dell’economia e della politica”.
Gere non ha nulla da rimproverarsi nella sua lunga carriera, quasi 60 titoli, è soddisfatto anche se qualche film non è andato così bene. Ricorda ancora quando dopo aver lavorato a a teatro, off e on Broadway dai 19 ai 30 anni compiuti, si fece conoscere nel mondo del cinema con I giorni del cielo di Terrence Malick. Da lì la strada fu in discesa.
“Capii che non ero più quel ragazzo che proveniva da una cittadina vicina a Syracuse il giorno in cui mi accorsi che tre film, da me interpretati, venivano programmati in contemporanea nei cinema più importanti di New York”.

Gere parla anche con grande partecipazione della sua esperienza di produttore culminata con Time Out of Mind, del quale è stato anche il protagonista nei panni di un homeless e presentato all’ultimo Festival di Roma (leggi l’intervista). “Ho impiegato 12 anni per produrlo, avevo comprato i diritti del libro, un resoconto asciutto di fatti che avvenivano a New York, non un romanzo, e ho capito che questo doveva essere il corretto approccio per il grande schermo. Così ho coinvolto l’amico Oren Moverman che ha riscritto la sceneggiatura e diretto il film”.
Ai registi esordienti consiglia di farsi conoscere scrivendo loro la sceneggiatura, una storia bella e forte che catturi l’attenzione, perché solo così il produttore ha fiducia nel progetto che non è firmato da altri. Come è avvenuto per l’esordiente Andrew Renzi, che lo ha diretto ne Il segreto, presto nelle sale italiane con Lucky Red.
E a chi gli chiede cosa ne pensa del dramma umanitario dei migranti risponde: “Il mondo intero è consapevole che il drammatico problema di persone che fuggono da guerre e povertà, deve essere affrontato a livello globale. I rifugiati cercano una casa, un luogo dove vivere in sicurezza. Se noi offriremo loro queste garanzie, saremo più tranquilli moralmente. Ma vanno affrontate e risolte le cause, a cominciare dai conflitti. Ormai in un mondo globalizzato quello che accade in Africa ha ricadute su di noi”.

Taormina 2015

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