SPELLO – Pivio (con Aldo De Scalzi) scrive spesso “la colonna sonora del cinema italiano”: autore, da Özpetek ai Manetti bros., di musiche da film le più disparate, a riflesso di una versatilità creativa elastica e mai uguale a se stessa, l’autore genovese è ospite alla XII edizione del Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri per ricevere il Premio Savina.
Pivio, nel cinema italiano – e non solo, pensando magari all’Oscar come Miglior Colonna Sonora a Niente di nuovo sul fronte occidentale – come sta il mondo della musica da film da un punto di vista creativo? Rintraccia tracce di originalità nascenti, o nuove onde interessanti?
La risposta meriterebbe un tempo molto articolato. Il nostro cinema dal punto di vista delle colonne sonore è messo piuttosto bene: c’è in atto una grande opera di rinnovamento, sono veramente tanti i nuovi compositori che si stanno affacciando negli 2/3 ultimi anni al mondo della musica applicata e sono tutte persone molto qualificate, molto immerse nel meccanismo, con una forte propensione all’ibridazione, cioè la possibilità di lavorare con metodologie classiche, ma anche con uno sguardo a quello che è lo stile guida del momento, un suono che dimentica il concetto di melodia e si pone più su una posizione di sviluppo di un timbro sonoro interessante; questo è esattamente il motivo per cui presumibilmente ha vinto Volker Bertelmann per il film di Edward Berger, perché l’Academy vedeva concorrere personaggi tradizionali ma ha fatto una scelta più innovativa; questo ha creato anche disagio e discussioni, ma mi sembrano cose abbastanza risibili, che lascerei a chi vuol fare polemica; io sono interessato al fatto che nel film la colonna sonora funzioni molto bene e appunto le nuove leve italiane hanno un atteggiamento abbastanza rilassato in questo senso, se c’è da lavorare con un’orchestra lo fanno, così come con dei suoni più sintetici: questa è la versione positiva. Poi c’è quella non positiva, ma non voglio dire negativa: purtroppo l’accesso ai mezzi per realizzare una colonna sonora con una scelta consapevole da parte dei compositori sembra essere dovuta anche alla necessità, perché i mezzi messi a disposizione dal cinema italiano per il mondo della musica applicata sono relativamente poveri. Quindi, il rischio è: quello che potrebbe essere una scelta diventa un obbligo di campo, e questo è un problema. Ma, ripeto, dal punto di vista della preparazione le nuove leve sono davvero molto preparate, e questo dà speranza.
Mentre, dal punto di vista della tutela del mestiere, come sta la musica da film? Lei è anche Presidente di ACMF – Associazione Compositori Musiche per Film (dal 2017) e Consigliere di Gestione dellaSIAE (dal 2022).
Pensare a sole due tonalità di colore, o bianco o nero, anche qui è sbagliato. Però, è indubbio che in questo ultimo periodo si stia facendo spazio, anche in maniera abbastanza pesante, un atteggiamento che proviene presumibilmente più dal mondo delle piattaforme, che è quello dell’utilizzo anche di Intelligenze Artificiali, che in qualche modo possono sostituire dignitosamente il lavoro del compositore: questa cosa è molto pericolosa e va affrontata con durezza. Quando io ho iniziato a studiare il mondo della musica elettronica, da ingegnere, quaranta e passa anni fa, già mi occupavo di AI da utilizzare eventualmente come supporto alla composizione: vogliamo immaginare cosa sia potuto accadere nel frattempo, con l’accelerazione tecnologica a cui abbiamo assistito tutti? Il livello di qualità di queste Intelligenze è molto elevato. Inoltre, c’è un aspetto che è non a tutti arriva, una questione contrattuale: i compositori si ritrovano a dover consegnare non solo i mix che sono usati poi effettivamente per il mixaggio finale del film, ma anche le parti che lo compongono, e questo permette, di fatto, a chi volesse, di attingere a un ‘data base’ di parti sonore che potrebbero essere usate come materiale utile da parte dell’AI per creare i propri mondi; è una situazione abbastanza caotica, perché di fatto siamo noi stessi i fautori del nostro disastro ipotetico. È chiaro che siamo ancora nel livello della marginalità quantitativa, ma c’è un segnalino d’allarme non secondario, di cui bisogna tenere conto. Ci sono condizioni serie per affrontare la cosa: ci sono scenari all’orizzonte pericolosi, da affrontare anche dal punto di vista legislativo.
Qual è il valore aggiunto di essere membro ACMF, rispetto per esempio a scegliere di non farne parte?
Come tutte le lobby, e la nostra lo è nell’accezione buona del termine, essere parte di un organismo più complesso ti permette di avere accesso a informazioni che altrimenti non riceveresti, di poter fare massa critica laddove si tratta di dover andare a trattare macro argomenti, per esempio un contratto nazionale dedicato alla realizzazione di colonne sonore che non esiste ancora: in questi giorni, sappiamo, è successo un grande caos per la definizione del ruolo del doppiatore; noi a tutti gli effetti, anche se siamo degli autori, quindi abbiamo una posizione un po’ differente rispetto a certe iniziative, subiamo però gli stessi meccanismi, non a caso la questione dei doppiatori nasce dalla necessità di fermare le Intelligenze Artificiali. Quindi, far parte di ACMF vuol dire far parte di un gruppo di professionisti e artisti che condividono uno stesso obiettivo: trovare un modo per migliorare le proprie condizioni, di far sì che il messaggio artistico possa essere diffuso nel migliore dei modi possibili, perché di fatto facciamo anche questo, non ci occupiamo solo di questioni istituzionali, siamo prima di tutto dei compositori, facendo tutta una serie di operazioni di educazione all’ascolto, che sono fondamentali.
Ci sono stelle polari, in Europa o nel mondo, a cui il mondo italiano della musica da film, per la gestione della tutela del proprio mestiere, guarda o dovrebbe guardare? Esempi edificanti e possibili a cui ispirarsi?
La cosa interessante è che questi personaggi internazionali, per come è stata organizzata la nostra Associazione, sono entrati loro stessi: l’Associazione è italocentrica, ma aperta al mondo. Per esempio, abbiamo come socio onorario Hans Zimmer, un personaggio rilevantissimo; con noi c’è Roger Waters, che ha lavorato anche a tante colonne sonore; con noi c’è Michael Nyman collegato a tutto il mondo di Greenaway; da pochissimo è entrato Charles Bernstein, l’autore della colonna sonora di Nightmare; tra poco potrebbe unirsi Michael Giacchino. Quindi, il risultato è che queste figure siano già parte integrante della nostra Associazione, siamo molto felici: ad oggi abbiamo tanta eccellenza al nostro interno. Mi piace l’assoluta condivisione di obiettivi da parte di chi ha già dimostrato nel tempo di essere un’eccellenza e di chi presumibilmente lo sarà, senza nessuna differenza di gestione da parte nostra.
Lei è un compositore piuttosto premiato per il suo mestiere, anche qui a Spello riceve il Premio Savina: pensa – e magari ha potuto testare – che il riconoscimento artistico personale possa avere una ricaduta benefica sul fronte della tutela della categoria?
La ricaduta vera, se pur la constatazione di ciò è anche un po’ triste, è relativa il fatto che se tu hai ricevuto premi importanti, qualora venissi coinvolto in un film, porti in eredità ‘questi premi’, e quindi permetti a chi sta cercando di ottenere finanziamenti di essere più bancabile. Quindi, questo permette di dire: se io vinco un premio sono più appetibile e spendibile, ma da un altro punto di vista potrebbe bloccare il meccanismo di accesso ai film. Fortunatamente non è esattamente così, la quantità di compositori che entra in gioco è molto elevata, per cui il meccanismo non sta creando sbarramento, ma ipoteticamente potrebbe farlo.
Infine, domanda artistica: ha appena pubblicato Pycnoleptic, suo progetto da solista. In breve, che Pivio c’è dentro questa creazione e che Pivio c’è da aspettarsi nel futuro prossimo del cinema?
Lì dentro, anzitutto, c’è una delle tante sfaccettature che mi contraddistinguono: nei miei dischi solisti mi permetto dei lussi che difficilmente riesco quando lavoro ad una colonna sonora; nel caso specifico di Pycnoleptic c’è dietro un pensiero politico molto forte: una delle cose che mi ha spinto a farlo è la mia considerazione sulla picnolessia, una forma di epilessia che colpisce gli adolescenti, e che fa sì che tutte le attività motorie, ma anche cerebrali, per alcuni secondi, scompaiano, una sorta di catalessi, chiamiamola così; e io trovo una forte corrispondenza con il pensiero etico e sociale che riscontro nella nostra società nei confronti di troppi argomenti. Ho realizzato sette brani, nei miei soliti dodici giorni: è un po’ una prassi inconscia, che deriva dal primo film, Bagno Turco; è una piccola follia ma evidentemente mi è entrata in circolo e mi sono imposto di realizzare queste mie piccole escursioni nello stesso periodo temporale di quel primo lavoro. La cosa a cui questo volta ho puntato di più è stata anche una ricerca tecnologica che trovo molto opportuna, cioè ho realizzato un mix per un ascolto tradizionale – il disco esiste in vinile e sulle piattaforme digitali -, ma sono andato un po’ oltre e ho cercato di usare una tecnologia, già abbastanza usata nel mondo del cinema, ma non nel mondo del pop, cioè Dolby Atmos. Permette delle spazializzazioni molto complesse, che permettono un’immersione nell’ascolto differente da quello un po’ distratto a cui ci stiamo abituando tutti quanti: nel mio caso è nativo, ho deciso dove posizionare gli oggetti sonori nella stanza virtuale, potendoli poi muovere, in questo senso è un progetto pioniere. L’ho presentato in una sala cinematografica (leggi il nostro articolo), cosa che spero di poter ripetere: questo ha permesso di riappropriarsi di un momento di vero ascolto, accompagnato dalla visione realizzata con Matteo Malatesta, ulteriore ausilio all’ascolto. Questa cosa permetterebbe anche di muovere dinamiche collaterali: anche per le sale cinematografiche potrebbe essere interessante, dovesse farlo un gruppo popolare come per esempio i Måneskin, immagino che poter sentire una loro produzione in Dolby Atmos chiamerebbe un delirio di ingressi; potrebbe uscire che anche le sale – che restano per me cattedrali intoccabili per la fruizione del film –, trovassero così ulteriori sviluppi nel mondo comunque dell’audiovisivo. Per il cinema, invece, con Aldo De Scalzi stiamo completando Diabolik 3, musicalmente un salto quantico rispetto ai primi due, privilegiando un suono afro-americano, con un ritorno ad un suono orchestrale antichissimo: non posso dire di più. E poi stiamo lavorando al primo film da regista di Claudio Bisio: sorprendente, perché è quello che non ti aspetti da lui. Non ne posso parlare, ma uscirà in autunno in occasione di una ricorrenza: racconta un momento storico nostro, triste.
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