Pappi Corsicato: “Jeff Koons, la provincia americana come ispirazione della leggerezza dell’infanzia”

Il regista racconta il suo doc 'Jeff Koons. Un ritratto privato', in anteprima alla Festa di Roma e al cinema 23, 24, 25 ottobre


Lui è pop, controverso e influente. Con lui il  kitsch è assurto a capolavoro. Lui ha messo a confronto l’arte avanzata e la cultura di massa, spesso provando ad andare oltre i limiti della fabbricazione industriale. Con lui si è trasformato il rapporto degli artisti con il culto della celebrità e il mercato globale.

Lui è Jeef Koons, artista contemporaneo dalla spiccata personalità estetica, protagonista di Jeff Koons. Un ritratto privato di Pappi Corsicato, in anteprima alla Festa di Roma – sezione Freestyle e al cinema 23, 24, 25 ottobre, prodotto da Nexo Digital.

Pappi, il suo film nel titolo dichiara che di Koons lo spettatore sta per guardare un ritratto privato: da dove è partito per profilare l’uomo, poiché dello stesso ciò che è più conosciuto e visibile è l’aspetto artistico e pubblico?

Io l’ho conosciuto anni e anni fa, quando fece una mostra al Museo Archeologico di Napoli, che mi fu chiesto di documentare. Poi, feci una cena a casa, dove lo invitai: lui era molto freddo, a tavola quasi nemmeno parò, ebbi una sensazione di distacco, come se non volesse avere a che fare; negli anni l’ho incontrato ancora, in situazioni più informali, e l’ho anche intervistato per il documentario su Julian Schnabel, che aiutò Jeef Koons nei primi lavori e in quell’occasione mi sembrò proprio un’altra persona, contando che fossero passati quasi vent’anni. Così, con molta semplicità, gli chiesi se avessi potuto fare un documentario su di lui, e lui con totale generosità mi disse: ‘ quando vuoi’. Quando comincio questi documentari so sempre poco o niente delle vite, perché mi piace scoprirle man mano: mi piace che emergano dalle interviste con i famigliari, gli amici, i collaboratori o persone che hanno condiviso delle esperienze, così man mano costruisco il racconto; poi con il montaggio indirizzo il discorso a qualcosa di più a me congeniale. Jeff Koons rispetto ai luoghi comuni non è un artista estroverso o con un look particolare, anzi è uno molto semplice, tanto che uno degli intervistati lo definisce ‘un allenatore di pallavolo’, il che è vero, perché lui viene da una famiglia di media borghesia americana, e da lì è riuscito a diventare un grande artista; quello che io trovo interessante è la grande tenacia, l’essere a fuoco e credere in quello che fa, superando qualsiasi tipo di fallimento, anche quelli grossi economici, e questo diventa un tema importante – non solo nell’arte –, un discorso di riferimento, anche personale.

Le opere di Koons sono caratterizzare da una riconoscibilissima impronta simbolica, provocatoria, cromatica e materica: ha potuto rintracciare anche nell’uomo qualcuna di queste caratteristiche?

L’elemento fondamentale che ho riscontrato tra lui e le opere è il legame col passato, non per un tono nostalgico ma per la suggestione: le sue opere sono produzioni gigantesche di ninnoli e giocattoli. Lui non fa altro che riproporle in scala gigantesca per uno spettatore adulto, che le guarda con lo stupore del bambino: ti fa tornare l’emozione infantile che credo sia molto importante per noi esseri umani tenere viva; la meraviglia e la curiosità che ti provoca col suo lavoro diventano un elemento capace di emotività. Lui non è affatto infantile ma mantiene il voler sorprendere e sorprenderti, e la curiosità, che tiene vivi.

Se la personalità artistica di Koons non passa inosservata, altrettanto lei è un autore con una propria originalità narrativa e visiva: come ha conciliato le due personalità?

C’è nelle sue opere un elemento kitsch che io riconosco e che mi diverte: nella loro dimensione gigantesca e colorata sono opere splendide, con una lucidità magnifica. Mi emoziona e mi diverte questo; io a casa avevo degli oggetti di questo genere, è qualcosa in cui mi riconosco, che non sento distante da me.

C’è l’importanza dei luoghi in questo film, in particolare penso a York, in Pennsylvania, dove l’artista vive e dove è cresciuto, ammirando Duchamp e Dalì racconta lui: il luogo ha determinato la persona e l’artista?

Secondo me sì, forse non proprio quel luogo in sé, ma la provincia americana sì, senza sovrastrutture, senza spettacolarità, un posto fatto di casette famigliari carine, arredate con piccoli ninnoli, appunto quelli delle sue opere.

Lavorando alla costruzione di questo film, cosa ha riscontrato che s’aspettava di Jeef Koons e cosa l’ha colta di sorpresa, che potrebbe stupire anche il pubblico?

Mi ha sorpreso il suo essere una persona molto ironica e leggera, mentre uno potrebbe pensarlo freddo e distaccato, invece no, è affettuoso e generoso: ha messo a disposizione le sue amicizie per farmi fare questo documentario, e loro stesse sono state generose, che è qualcosa che riscontro nel mondo dell’Arte ma non in altri. Forse anche la comprensione di certe sue opere, come quella ispirata a Ilona Staller, che fu molto criticata, mentre lui spiega che il mettersi a nudo sia un’espressione di liberazione, con leggerezza e divertimento: a primo impatto è qualcosa di meno immediato da leggere e il fatto di averlo un po’ capito ‘mettendo insieme pezzi delle varie opere’ mi ha sorpreso, sì.

Per le musiche originali il regista ha scelto Enrico Gabrielli, musicista di formazione classica, polistrumentista, compositore, arrangiatore e produttore, componente in pianta stabile dei Calibro 35 e fondatore della collana discografica 19’40”. Gabrielli si è avvalso, per la realizzazione delle musiche, della formazione con cui collabora stabilmente da alcuni anni: gli Esecutori di Metallo su Carta. Due dei brani originali presenti nella colonna sonora, inoltre, portano la firma del musicista elettronico e sound designer Ettore Bianconi (Baustelle, :absent.). La colonna sonora originale del film, la prima di Enrico Gabrielli per Nexo Soundtracks, verrà pubblicata nell’autunno 2023 su etichetta Nexo Digital e distribuzione Believe.

Festa del Cinema di Roma 2023

 

 

 

 

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