CANNES – Standing ovation al Grand Théâtre Lumière durante la presentazione ufficiale di Three Faces per la sedia vuota riservata a Jafar Panahi, il regista iraniano che non ha potuto accompagnare il suo film in Concorso a Cannes a causa delle restrizioni ventennali imposte dall’Iran che gli impediscono sia di lasciare il suo Paese dal 2010 che di girare (continua a farlo in semi-clandestinità), perché riconosciuto colpevole di “collusione con l’intenzione di commettere crimini contro la sicurezza nazionale e la propaganda contro la Repubblica Islamica”. Il Festival di Cannes ha spinto per avere il permesso di far partecipare il regista, arrivando a chiedere aiuto al governo francese, ma senza risultati. Così come sono molti gli autori e gli operatori cinematografici che hanno lanciato appelli, ultimo, appena qualche giorno fa, quello del suo connazionale Asghar Farhadi presente a Cannes che durante la conferenza stampa di Todos lo Saben ha lanciato una pubblica richiesta per la presenza del collega al festival.
Il film è un poetico viaggio in auto tra le montagne dell’Iran, attraverso il quale il regista dei pluripremiati Taxi Tehran, Il cerchio e The White Balloon, riesce a raccontare, con umorismo e tenerezza, della condizione femminile e delle difficoltà di fare cinema nel suo Paese. Anche in conferenza stampa il regista è stato rappresentato da una sedia vuota, “affinché tutti sappiano e sia forte la sua presenza anche mediante l’assenza”, come è stato sottolineato da una delle interpreti femminili, Behnaz Jafari: “Ero molto dispiaciuta ieri sera per l’assenza di Panahi in sala, volevo piangere. C’era tristezza in tutti noi e anche molta compassione. Ma poi, a un certo punto, ho iniziato a ridere perché ho capito che in fondo anche lui era lì, insieme a noi, tramite il suo film che è diventato come un’entità autonoma a cui è concesso di viaggiare. E così sono riuscita a godere di quell’umorismo che il regista riesce sempre a mettere nelle sue opere: è come se ogni volta consegnasse una scatola piena di colori allo spettatore, lasciando a lui il compito di scegliere con quale tonalità di lettura interpretare il film”.
Nella pellicola, che sarà distribuita in Italia da Cinema di Valerio De Paolis dal 29 novembre e in cui Panahi appare nei panni di se stesso, si intrecciano i destini di tre attrici, tre donne diverse per età e background che rappresentano tre differenti generazioni. Three Faces racconta, infatti, di una famosa attrice iraniana (Behnaz Jafari) che riceve via telefono un video messaggio inquietante da parte di una giovane ragazza (Marziyeh Rezaei) che la implora di aiutarla a sfuggire alla famiglia conservatrice. È un’aspirante attrice a cui la famiglia impedisce di realizzare il suo sogno, anche perché ritiene le interpreti, come la locale Shahrzad, figure da tenere nell’ombra e isolare. Il suo disperato appello si conclude con un suicidio, e anche se la donna non sembra del tutto convinta dell’autenticità del filmato, spinta dal rimorso abbandona le riprese in corso e chiede aiuto ad un amico, il regista Jafar Panahi appunto, per a capire se si tratti o meno di un falso. Insieme, prendono la strada per il paese della ragazza nelle remote montagne del nord-ovest, dove le tradizioni ancestrali continuano a dettare le regole della vita locale e dove le donne non sono libere di esprimere se stesse al di fuori delle rigide regole imposte dalla famiglia. Una strada stretta e tortuosa conduce al paesino, percorribile solo in un senso e secondo rigidi dettami che le comunità locali si sono autoimposte, a rappresentare tutte le limitazioni e le difficoltà che in quel luogo senza tempo impediscono di vivere liberamente. “È vero – ammette la giovane protagonista Marziyeh Rezaei che ha potuto studiare recitazione all’università di Teheran – il problema di chi vuol fare l’attrice in Iran c’è. Molte mie colleghe di studi mi hanno raccontato le difficoltà che hanno avuto in famiglia quando hanno deciso di fare questo lavoro”.
Un altro dei temi toccati dal film è quello della folle ricerca di contatto con le celebrità del cinema e della popolarità dei social network in Iran, aspetto che la cinematografia nazionale sta esplorando da vari punti di vista, a partire anche dalla commedia nera di Mani Haghighi, Pig presentata quest’anno a Berlino. Un problema che anche la stessa protagonista del film, Behnaz Jafari, che in patria è una famosa attrice, si è trovata più volte a dover affrontare: “Come attrice ricevo di continuo molte email e richieste di ogni genere, la gente pensa che mandare messaggi a un’attrice famosa possa essere la cosa più naturale e migliore da fare”.
A differenza del precedente Taxi Teheran, dove non tutti i collaboratori comparivano nei titoli di coda, evidentemente per il timore di ritorsioni, c’è da segnalare che questa volta è lungo l’elenco dei nomi che scorrono sulle note finali del film. Si spera sia la prova di un leggero cambiamento di umore in corso nel Paese.
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