Pablo Larraín scopre la street dance

Ema è il primo film sul Cile contemporaneo del regista latinoamericano, un melodramma amoroso interpretato da Mariana Di Girolamo e Gael García Bernal e scandito dalla musica e dalla danza reggaeton


VENEZIA. “Una meditazione sul corpo umano, sulla danza e sulla maternità”, con queste poche parole il regista cileno Pablo Larraín definisce sul catalogo della Mostra veneziana, Ema il suo primo film sul Cile contemporaneo. Terza volta al Lido dopo aver portato sempre nella selezione ufficiale Post Mortem nel 2010 e Jackie nel 2016, Larraín si avventura per le strade del melodramma amoroso, qui scandito dalla musica e dalla street dance, in attesa di girare il suo nuovo film americano The True American. “Quello che voglio è mettere in crisi l’idea di cosa sia oggi una famiglia”.

I genitori adottivi Ema (Mariana Di Girolamo) e Gastón (Gael García Bernal) sono artisti liberi di una compagnia di danza sperimentale, le cui vite sono segnate dal dolore quando il loro figlio è coinvolto in un episodio violento. Mentre il loro rapportosi sgretola con la decisione di restituire il bambino adottato, Ema intraprende un processo di liberazione sessuale e scoperta di sé grazie alla danza e alla musica reggaeton per le vie di Valparaíso, un altro personaggio del film, una città portuale dove le cose accadono per strada. Ema è dunque il ritratto incendiario di una donna in fiamme, determinata a muoversi liberamente attraverso il mondo, alla ricerca di una “famiglia moderna”.

Da tempo il regista era interessato al tema dell’adozione: “Adottare un bambino è un atto di generosità immensa, ma in Cile ci sono parecchi casi di adozioni fallite e quando ciò accade, come racconto nel film, è un dramma, la coppia ne soffre e cerca di capire che cosa è accaduto. Siamo così partiti dalla crisi di Ema e Gastón”. Per Gael García Bernal in un’epoca di fine delle certezze, il film “ci consente di ascoltare la narratività del futuro, affrontando i temi della famiglia e della sessualità”.

Il film è scandito dal reggaeton, genere di  musica da ballo nato a Porto Rico negli anni ’90. “Grazie a un amico musicista ho ascoltato la top ten delle canzoni in Cile e America Latina e ho scoperto il reggaeton, all’inizio non mi piaceva poi ho cominciato ad amarlo e a capire perché la giovane generazione rappresentata nel film ascolta e balla questa musica”, dice Larraín. E attraverso il reggaeton, il regista si è messo in contatto con le nuove generazioni, che sono oscurate da quelle precedenti, “ho imparato la loro estetica ed etica. Una generazione quella rappresentata che rispetta gli altri e vive in gruppo, con una coscienza ambientalista e anticonsumista”.

Mariana Di Girolamo è cresciuta con questa musica e con questo ballo che libera, “è un ritmo atavico che ti porta a un essere primitivo e si fa soprattutto in gruppo. La mia protagonista, Ema, lo usa per sedurre perché ha qualcosa di sensuale”. Gastón fatica a rapportarsi con la nuova Ema, dopo il fallimento dell’adozione, la coppia prova in un primo tempo a capire insieme le ragioni di quanto accaduto. Lei allora si affida al processo artistico, “esplora nuove forme di danza in strada per perdonarsi – sottolinea l’attrice – Gastón non la capisce, per lui l’espressione artistica è la direzione di un coreografia in uno spazio al chiuso”.

“Ema tenta di essere madre, prova ad avere una sua famiglia diversa, caratterizzata dalla libertà sessuale – dice la Di Girolamo – E’ decisa a raggiungere questo obiettivo perché è una donna libera, attraente, sensuale, sicura di sé, piena di fuoco”. Per Larraín Ema è una forza della natura, è sorella, figlia, madre, amante. “Lei è il sole e tutti le ruotano intorno, ma se ti avvicini troppo ti bruci. Vuole essere madre e avere una famiglia; forse ciò che la muove e la motiva di più è l’amore. E con il ballo racconta la storia di se stessa”.

Il regista ricorda infine che sul set gli attori conoscevano la sceneggiatura solo il giorno prima delle riprese. “Se l’attore sa già tutto da tempo, la direzione che prende è ormai determinata. Volevo invece creare una performance attoriale”.

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