Non solo ‘Il silenzio’, 80 anni fa nasceva Jonathan Demme

Ricordato per 'Il silenzio degli Innocenti' e 'Philadelphia', il cineasta avrebbe compiuto 80 anni il 22 febbraio 2024


Quando Jonathan Demme si è spento il 26 aprile 2017 a 73 anni, il mondo ha perso un vero maestro. E uno dei più originali e innovativi cineasti della storia del cinema hollywoodiano.

Tanto che è difficile trovare un suo simile tra i registi non solo americani e non solo di oggi.

Non solo il silenzio

Tutti lo ricordano per Il silenzio degli Innocenti del 1991, sicuramente tra i più bei thriller di sempre. Ma la carriera di Demme non si può ridurre solo a quel film, seppur capolavoro assoluto. Il suo corpus di opere che spazia dagli inizi colorati e a basso costo sotto l’ala protettiva dell’imperatore dell’exploitation Roger Corman fino alle opere che lo hanno consacrato come uno dei registi più eclettici, versatili e visionari del mondo.

Nonostante Oscar e riconoscimenti di ogni sorta e un botteghino che gli ha sorriso a livello mondiale, non ha mai perso il contatto con le sue radici nei film di serie B, tenendo bene a mente il consiglio di Corman (omaggiato con diversi cameo in tanti suoi film) di mantenere l’occhio dello spettatore sempre eccitato e stimolato.

I suoi film sono di una varietà sconcertante.

Dall’innovativo film-concerto sul gruppo rock post-punk Talking Heads dal titolo Stop Making Sense (1984) considerato una pietra miliare del genere e che ribaltava l’estetica sincopata e iper-veloce in “stile MTV” in voga all’epoca, preferendo invece inquadrature lunghe e fisse in modo da esaminare con attenzione l’interazione dei musicisti sul palco, all’esilarante thriller screwball Qualcosa di travolgente (1986) con Melanie Griffith e Jeff Daniels, che ha influenzato sceneggiatori importanti come Bret Easton Ellis, fino al dramma sull’Aids Philadelphia (1993) con un immenso Tom Hanks  o al remake di The Manchurian Candidate (2004).

Così diversi, eppure tutti sono accomunati dal colore e dalla vivacità, oltre che da un profondo senso di coscienza e di comunità. Demme si preoccupava profondamente di ciò che metteva sullo schermo e di infondere nella sua narrazione: energia, entusiasmo e umanità osservata con empatia.

In un’intervista del 2012 al NewsHour a proposito di questo ecclettismo il regista rispose di essere guidato dal suo entusiasmo.

“È come se quel copione avesse una storia che, secondo il mio modesto parere, vale la pena di essere raccontata”, disse. “Ci sono così tante cose che stanno accadendo nel nostro Paese e nel mondo oggi… Per un attimo riceviamo i titoli dei giornali, modellati per la maggior parte del tempo dalle aziende, ma qual è la vera storia? Beh, questo genere di cose mi eccita”.

Demme “Influencer”

Questo tour de force tra i generi e il modo in cui porta sullo schermo le storie ha avuto un impatto enorme su molti altri grandi cineasti. Quando al geniale regista Paul Thomas Anderson (Magnolia, Il Petroliere, Il filo nascosto) gli chiesero quale artista lo avesse influenzato di più in assoluto rispose senza tentennamenti: “Jonathan Demme, Jonathan Demme, Jonathan Demme” ed è chiaro questo soprattutto per il modo in cui Anderson ha plasmato il suo Boogie Nights.

In una conversazione tra i due maestri all’Austin Film Festival del 2015, Anderson ha chiesto a Demme del suo marchio di fabbrica, l’uso della “camera soggettiva” una tecnica in cui un film mostra esattamente ciò che si trova nel punto di vista dell’attore, spesso seguito o preceduto dall’attore che guarda direttamente nell’obiettivo. Demme ha usato magistralmente questo linguaggio specialmente in Qualcosa di travolgente e in Il silenzio degli innocenti.

“Si vuole che il pubblico sia nei panni del personaggio – spiegò Demme. – Più il pubblico si trova nei panni del personaggio, più si interesserà a ciò che sta accadendo”.

91/93 : gli anni del trionfo

Non solo puro intrattenimento per Jonathan Demme. Il film drammatico del 1993 – Philadelphia – puntava i riflettori in una maniera del tutto nuova sul modo in cui l’epidemia di AIDS veniva stigmatizzata, riuscendo laddove altre campagne per sensibilizzare sul tema avevano fallito:  far comprendere la vera portata della malattia. Attraverso l’arte, il racconto e l’entertainment di altissimo livello ha cambiato una volta per tutte la percezione  sulla piaga di fine XX secolo.

“Ci siamo riuniti e abbiamo cercato di proporre un film che aiutasse a promuovere una cura e a salvare vite umane -, dichiarò Demme all’indomani del successo del film. – Non volevamo fare un film che si rivolgesse a un pubblico di persone come noi, che avevano già una predisposizione a preoccuparsi delle persone affette da AIDS. Volevamo raggiungere le persone a cui non importava di meno del problema. Quello era il nostro pubblico di riferimento”.

Anche i suoi lavori più cupi, come il thriller / horror Il silenzio degli innocenti (1991), che gli diede il primo assaggio di successo al botteghino dopo quasi due decenni di carriera e gli fece vincere l’Oscar per la miglior regia, avevano una tenerezza ammaliante.

Nonostante i raccapriccianti spaventi di quel film, era il legame tra l’agente dell’FBI Clarice Starling (Jodie Foster) e il suo macabro mentore, il serial killer Hannibal Lecter (Anthony Hopkins), a conferire al film il suo mordente emotivo.

In un’intervista rilasciata in occasione del 25° anniversario del film, lo sceneggiatore Ted Tally ha dichiarato che il film “ha infranto tutte le regole” perché era un horror “parlato” e “intellettuale” e aveva una donna nel ruolo principale. Demme ha giocato con tecniche come la rottura della quarta parete, soprattutto con il suo protagonista psicopatico. Ha anche girato in visione notturna quando Clarice è bloccata nella casa dell’assassino Buffalo Bill e ha giocato con la linea e la traiettoria degli occhi per stabilire il modo in cui pubblico deve vedere ciascuno dei suoi personaggi.

Demme ha dichiarato di essere sorpreso come tutti del successo de Il silenzio degli innocenti. “Avevo semplicemente fatto quello che facevo sempre. Solo che questa volta ha funzionato”.

Sì ha decisamente “funzionato”. Il film è stato il terzo nella storia a vincere tutti e cinque gli Oscar principali; ha guadagnato più di 240 milioni di dollari in tutto il mondo e la sua influenza si è fatta sentire fortemente sul genere thriller e a maggior merito di Demme va l’aver scelto di non dirigere il sensazionalistico sequel (Hannibal) e l’evitabile prequel (Red Dragon).

Non tutti i successi vengono per far del bene

In seguito ha ammesso che il successo di questi due film ha cambiato il corso della sua carriera, e non esclusivamente in positivo. “C’è una seducente spirale ascendente, in cui forse sono stato risucchiato, in cui una volta che hai successo, puoi fare film ancora più costosi, vieni pagato di più e il tuo lavoro sembra sempre più importante”.

Il suo adattamento del romanzo di Toni Morrison, Beloved (1998), benché potente e con un’interpretazione spettacolare di Thandie Newton, non è stato all’altezza della sua fama al botteghino, mentre The Truth About Charlie (2002) è un insipido remake dell’amatissimo film Sciarada.

Ha ritrovato la vitalità di un tempo con Rachel sta per sposarsi (2008), un dramma familiare spumeggiante che attingeva ai ricordi dell’alcolismo della madre del regista, Dorothy, e che aveva come protagonista Anne Hathaway nel ruolo di una donna che esce dalla clinica per partecipare al matrimonio della sorella. Girato con telecamere a mano (le videocamere sono state messe anche nelle mani delle comparse che interpretavano gli invitati al matrimonio, e le loro riprese sono state inserite nel film) e costellato di improvvisazioni musicali, ha realizzato l’ambizione di Demme di creare “il più bel film casalingo mai realizzato“.

Nato a Baldwin, Long Island, Jonathan Demme avrebbe compiuto 80 anni il 22 febbraio di quest’anno. Manca tantissimo la sua verve, la sua simpatia e quel suo tocco così distintivo.

In un’intervista del 2008 al “The Guardian” rispose al giornalista che gli chiedeva quale fosse la formula per fare un gran film con queste parole: “Prendi una buona sceneggiatura, dei buoni attori e cerca di non sbagliare” e dopo una risata gioiosa “Questa è la formula, baby”.

Manlio Castagna
17 Febbraio 2024

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