Da oggi, 26 settembre, al 12 ottobre il Walter Reade Theater del Lincoln Center ospita la 52esima edizione del New York Film Festival, tra le kermesse cinematografiche più importanti della multiforme metropoli.
Due settimane di prime mondiali, nordamericane e statunitensi che come sempre promettono di portare in una delle zone più esclusive di Manhattan una parata di star cui solo le grandi manifestazioni possono ambire, oltre a più di sessanta film divisi tra le sezioni Main Slate, Revivals, Special Events e Spotlight on Documentary. Un festival ‘di servizio’, lo si potrebbe chiamare, se non si rischiasse di incorrere negli strali di chi lo ama e di chi ne è affascinato per il solo fatto di rappresentare la Grande Mela nel circuito internazionale dei grandi festival. Quegli stessi cui il programma del NYFF attinge da sempre per comporre il proprio cartellone. Cannes su tutti, poi Berlino, Locarno, Toronto e anche Venezia, per offrire una scelta di ottimo livello all’esigente pubblico di cinefili newyorkesi e una vetrina unica alle distribuzioni nazionali che sfruttano il passaggio qui per dare credibilità ai propri titoli in vista della (più o meno) prossima uscita in sala e per prolungarne lo slancio verso gli Oscar della primavera successiva.
In questo senso, i film più attesi di questa edizione sono sicuramente alcuni di quelli che già han fatto parlare di sé in molti dei festival suddetti. A parte L’amore bugiardo – Gone Girl di David Fincher (in uscita in Italia il 18 gennaio) che avrà qui la sua prima mondiale. Insieme a Foxcatcher: Una storia americana di Bennett Miller (che vedremo in sala l’8 gennaio) sono due titoli che ritroveremo sicuramente nelle nomination dell’Academy e che, insieme a Inherent Vice di Paul Thomas Anderson (ultimo ad arrivare al cinema il 19 febbraio), si distinguono in un cartellone comunque arricchito da Maps to the Stars di David Cronenberg (visto allo scorso Cannes), Birdman di Alejandro Gonzalez Iñárritu (già film di apertura di Venezia 71).
Potrebbe valere la pena non perdere il corto – con incontro a seguire – di Kathryn Bigelow, Last Days, sul bracconaggio degli elefanti o la celebrazione del mockumentary di culto This is Spinal Tap e i vari documentari di Martin Scorsese (The 50 Year Argument), Ethan Hawke (Seymour: An Introduction) e Debra Granik (Stray Dogs), già regista del sorprendente Un gelido inverno. Eppure la ‘crisi’ da sempre al centro dei bilanci sulle kermesse nostrane sembra esser approdata anche su questi Lidi, almeno confrontando questa con l’edizione dell’anno scorso, caratterizzata da grandi film e grandi registi: Captain Phillips, Walter Mitty, All Is Lost e Robert Redford, La vita di Adele, James Gray, i Coen, Alexander Payne, Jim Jarmusch, Hayao Miyazaki. Sembra quasi che il cinema nordamericano, non più così presente nei festival della nostra penisola – soprattutto considerando i cinque titoli per ora annunciati dal Festival di Roma – abbia ceduto la scena a quello europeo, anche italiano, di nuovo in auge negli Usa. Soprattutto dopo la vittoria dell’Oscar e i passaggi a New York di tanto nostro cinema di qualità: da Piazza-Grassadonia e Roberto Minervini a marzo per il New Directors/New Festivals a Paolo Virzì al Tribeca Film Festival di aprile alla Retrospettiva del Moma su Bellocchio fino a inizio maggio, per culminare con la calata in massa di Luchetti, Veronesi, Amelio, Andò, Rosi & Co. all’Open Roads: New Italian Cinema di giugno.
E così se la nutritissima pattuglia francofona può vantare Amalric, Assayas, Mia Hansen-Love, Jean-Luc Godard, Alain Resnais, Bertrand Bonello, Abderrahmane Sissoko, Arnaud Desplechin, Bruno Dumont e i fratelli Dardenne (quasi tutti direttamente dalla Croisette) c’è un po’ di Italia anche in La Sapienza di Eugene Green (visto recentemente a Locarno) e nel Pasolini di Abel Ferrara o nello Special Event della riproposizione della versione restaurata di C’era una volta in America di Sergio Leone. E ce n’è molta nei due film scelti per la sezione principale: Incompresa di Asia Argento e Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, Gran Prix speciale della giuria a Cannes 2014. Entrambe ‘Premiere Nord Americane’ che offriranno alle nostre registe l’occasione di incontri sempre molto interessanti con il pubblico e la critica statunitensi e dell’Upper West newyorkese, e un passaggio che molti loro colleghi ricordano e descrivono come un punto di arrivo e non come una tappa dovuta in un normale percorso promozionale e distributivo.
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