Quando l’impiegato di ambasciata John Le Carrè un buon mezzo secolo fa lavorava per l’intelligence britannica il mondo era chiaramente diviso in due blocchi che si contrapponevano in una lenta e inesorabile partita a scacchi. In questo gioco di spionaggio e controspionaggio John Le Carrè non è un pezzo pregiato della scacchiera. Possiamo benissimo sintetizzare il suo lavoro per l’agenzia di Sua Maestà come l’onesto e solerte lavoro di un pedone. La cui corsa risultò troppo presto interrotta da un ben più ambizioso alfiere che lo mise sotto scacco. Nel 1963 (l’anno del delitto Kennedy e di Dalla Russia con amore) proprio il doppio gioco dell’agente Philby – passato dal MI6 al Kgb – fa cadere la copertura di Le Carrè, all’epoca in missione nella Germania Ovest. Con la stoica distanza e la lucida freddezza che si richiede a un valente diplomatico, il nostro uomo aveva già capito che dalla sua esperienza sul campo per i servizi ne avrebbe fatto tesoro, creandosi una dignitosa e redditizia carriera letteraria.
Non a caso questa vicenda personale sarà decisiva nella caratterizzazione di uno dei suoi personaggi più fortunati, quella “talpa” che ritroviamo anche al centro di una fortunata e recente trasposizione cinematografica con Gary Oldman protagonista. Il “pedone” – che non potrà quindi mai avere il gusto epico e romanzato di un Fleming – conoscendo però attentamente le regole del gioco, nel raccontare con assoluta precisione matematica il grande romanzo della guerra fredda ha saputo crearsi una forte identità letteraria con un vasto seguito, che ci ha regalato negli anni almeno una dozzina di best seller ripagati da un buon successo internazionale. La sua pagina infatti ci ha raccontato i decenni più caldi del secolo breve sempre attraverso un susseguirsi di mosse e contromosse, come capita appunto in una lunga e stimolante partita a scacchi.
Adesso che sono passati quasi trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il mondo non ha certo perso il suo potenziale letterario. Oggi che la finanza ha vinto addirittura sulle sovranità nazionali, John Le Carrè vede il nuovo “male assoluto” nel riciclaggio del denaro sporco. Questo tema lo troviamo appunto ne Il traditore tipo, il film che uscirà il prossimo fine settimana, il 5 maggio, distribuito dalla Videa e che risulta essere la trasposizione di un romanzo recente di Le Carrè, uscito anche per Mondadori nel 2010. Questo ricatto imposto dal capitale alle nostre democrazie non è altro che per Le Carrè, giunto ormai alla soglia della novantina, una delle eredità più complesse di quella guerra fredda che rimane sempre la sua pietra di paragone. Ancora una volta la storia prende le sue mosse dalla grande madre Russia, da sempre – non a caso – il suo “idolo polemico” privilegiato. La trama stavolta si impone per delle regole ancora più rigide perché si tratta di una partita che si gioca ormai su più livelli, non riuscendo più a distinguere chi sia nel gioco a manovrare i neri o i bianchi.
In questa logica non più manichea lo spunto alla base dell’intreccio non può non riportarci alla memoria il nobile cinema di Hitchcock e la sempre verde pagina della Highsmith. In Marocco una coppia in crisi viene avvicinata dal braccio destro del più potente boss della mafia russa che, in vena di redenzione (un tocco alla Graham Greene non guasta mai) si serve della loro gentilezza per poter avvicinare i servizi inglesi con lo scopo di chiedere una complicata copertura almeno per la sua famiglia. Siamo infatti nel pieno di una faida che si gioca tra sanguinose ed arcaiche violenze e speculazioni dell’alta finanza digitale. Questa cortesia trascinerà le due pedine e l’alfiere in un labirinto che si muoverà tra Londra, Parigi e la “neutrale” Svizzera. Sono i luoghi ormai tradizionali delle spy story contemporanee ma stavolta il film di Susanna White, sarà forse per il suo “tocco femminile”, trae il suo punto di maggiore originalità proprio nella scelta delle location. Due sono i momenti più curiosi. Molto suggestivo è il modo di raccontare “gli intrallazzi” dell’alta finanza nel backstage dello stadio Emirates di Londra prima della partita dell’Arsenal, così come la gita di famiglia al Museo Einstein di Berna, un labirinto multimediale che bene si sposa con la suspense richiesta alla sequenza.
Ewan McGregor, il professore piccolo borghese che si trova suo malgrado coinvolto in un gioco più grande delle sue ambizioni, non è certo erede dei personaggi di Hitchcock, e forse per una recitazione troppo nervosa si vede regolarmente rubare la scena dallo svedese Stellan Skarsgård chiamato stavolta ad interpretare il russo Dima, un personaggio ben più affascinante e calibrato. Si tratta del corrotto membro della mafia russa che ama però con passione e generosità la sua famiglia. Alla sua figlia maggiore, per il compimento del diciottesimo compleanno, regalerà – in quel di Marrakech – addirittura un cammello. Come abbiamo visto anche nel nostro Le Meraviglie, si tratta di un cadeau sempre gradito…
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