Mothering Sunday: affermarsi, da donna, nel primo dopoguerra

Il film della regista francese Eva Husson è tratto dal romanzo omonimo di Graham Swift


Inghilterra, 1924. Il Mothering Sunday è il giorno di permesso che i datori di lavoro davano alla servitù per recarsi a visitare le loro madri. Ma la giovane domestica Jane Fairchild è orfana e non può usare il giorno di riposo che le hanno offerto i suoi “padroni”, i ricchi signori Niven, per tornare a casa: il che non è un problema, perché Jane conta di passare quel giorno insieme al suo amante Paul Harrington, figlio di amici dei Niven e altrettanto benestante. Paul studia legge controvoglia e si prepara ad un matrimonio di convenienza con una pari grado, ma la sua attrazione per Jane è autentica e ricambiata, benché clandestina. Su di loro però aleggia un lutto comune, ovvero la morte dei due figli dei Niven e dei due fratelli maggiori di Paul: un evento che i genitori di entrambe le famiglie non possono dimenticare.

Il film Mothering Sunday, della regista francese Eva Husson, tratto dal romanzo omonimo di Graham Swift, qui conosciuto come ‘E’ un giorno di festa’, con Olivia Colman, Josh O’Connor, Colin Firth, Odessa Young, Glenda Jackson e Sope Dirisu è alla Festa del Cinema di Roma in attesa dell’uscita in sala con Lucky Red, fissata per il 19 novembre.

“La prima volta che ho letto il romanzo – dice la regista – sono finita in lacrime, e lo stesso è accaduto quando ho letto lo script. Dunque volevo semplicemente dare accesso al pubblico a questa portata emozionale”.

“La ragione per cui io ho voluto fare il film – commenta O’Connor – è che parla delle persone che sono lasciate indietro. C’è qualcosa di fantasmatico, misterioso, inesplorato in questo personaggio, Jane, che attraversa il dolore, ma nella mia prospettiva è un personaggio che sente il peso del mondo, e questo la rende interessante”.

E’ il primo film di Husson non prodotto in patria: “gli attori francesi non sono male, ma quelli britannici riescono a dare un quid in più. Ho imparato le lingue per poter lavorare ovunque, lo spagnolo per il Cile e il Messico, l’inglese per l’Inghilterra. Sono stata rifiutata dalla Scuola di Cinema francese così ho guardato agli Stati Uniti, nella mia ottica dare supporto agli studenti è fondamentale, mi sento molto fortunata. Abbiamo lavorato durante la pandemia – continua – lavoravamo a sequenze molto oscure e dovevamo cercare di portare gioia nel film, perché eravamo pieni di tristezza. Vivevamo alla fine di un’era, ma anche il film si ambienta in un contesto simile, dopo la Prima Guerra Mondiale. Ci sono molti paralleli tra quell’era e la nostra e paradossalmente questo è stato un vantaggio. Uno dei modi in cui potevo lavorare era tornare alla fonte, tornare agli anni venti e ricordare quale fosse il loro quadro di riferimento. Erano i dipinti, quindi ho scelto 1:66 come formato perché era quello che si avvicinava di più ai dipinti. Ho inquadrato molti scatti come se fossero quadri”.

“Abbiamo un linguaggio molto ricco – risponde O’Connor sull’attorialità – e questo ci permette un vocabolario ampio per trasmettere i sentimenti. Il film è su Jane, un personaggio fantastico, ci sono delle linee alla fine che dicono ‘puoi immaginare tutto per me’. A Jane viene detto che lei può spiegare e articolare i suoi sentimenti. Lei è un’artista. Diventa una questione di classe, che esprime moltissimo la ‘british culture’”.

“Non parlo nemmeno di molestie sessuali o cose simili – spiega la regista – il problema al tempo era che la gente non faceva che lavorare fino a morire. Jane cerca un modo di vivere una vita, di avere una chance. Se fai un film storico che non ha legami col presente che senso ha farlo? Il modo in cui oggi percepiamo il film non può essere lo stesso con cui lo avremmo percepito tre anni fa. Era storicamente difficile realizzarsi appartenendo alla working class e più che mai essendo donna, penso che Jane fosse molto centrata su di lei e che la società tendesse a decidere chi fosse ciascuno e chi fosse rilevante o no. Ma se ti prendi cura di te come fa Jane, ce la puoi fare. C’è una scena in cui Jane sta davanti allo specchio, nuda, come oggi fanno le Femen, e il suo corpo diventa uno strumento politico. Diventa la tempesta perfetta, questo mi ha fatto pensare tantissimo”.

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