5 novembre 1998 la sua data di nascita, 25 anni sono quelli di Mila Damato, alla XXa edizione di Sedicicorto 2023 destinataria del Premio Generazione G per la sua interpretazione nel cortometraggio di Domenico Laddaga, Estasi; appena prima, è stata premiata, per lo stesso ruolo, come Miglior Attrice al Factory Film Festival di Bari.
Mila, il tuo debutto assoluto sullo schermo è stato con Estasi: quando e come arriva l’arte della recitazione nella tua vita, e cosa dell’interpretazione cinematografica hai compreso appartenere alle tue corde?
La recitazione in sé e per sé è stata un lampo di luce dentro a una serie di interessi che avevo già: sono sempre stata estremamente curiosa e la recitazione m’ha interessata sin da piccola, probabilmente anche perché i miei genitori mi ci hanno avvicinata, da appassionati di cinema e teatro; loro facevano parte di una compagnia amatoriale, mio padre suona e mia mamma è stata ballerina, studiando per un periodo a Londra, insomma entrambi hanno sempre viaggiato nel mondo dell’arte. Dalle medie ho cominciato a pensare che il teatro mi interessasse molto, poi al liceo ho capito di voler studiare seriamente recitazione e da lì l’idea di voler fare un’accademia a Roma, dove mi sono trasferita e ho frequentato l’Accademia d’Arte Drammatica Cassiopea. Per quanto riguarda la recitazione cinematografica, per me è l’opportunità di entrare nell’intimo del personaggio: con Estasi sono riuscita a dare un significato a gesti anche molto piccoli, che su un palco non avrebbero quel tipo di esposizione, uno sguardo, una mano che si muove in un determinato modo, sono tutte cose che la cornice cinematografica e la macchina da presa riescono a valorizzare, a catturare in maniera prorompente. Il ruolo che ho interpretato è di una ragazza che dentro implode, con piccole sfumature di sé mai emerse per le circostanze in cui è vissuta: il fatto che la sua storia sia raccontata in modo così specifico permette di lasciar trapelare che lei sarebbe voluta essere tante più cose rispetto a quello che è all’interno della storia stessa; questa bolla, questa intimità in cui è continuamente sola, mi ha molto colpita e il racconto cinematografico riesce a guardare negli angoli più piccoli della sfera umana riuscendo a tirar fuori questa personalità, per me un’opportunità proprio perché messa davanti a una macchina da presa.
Tu, da interprete under 30 come stai lavorando sulla tua formazione?
Ho frequentato l’Accademia ma non penso così di aver esaurito la mia formazione. È stato un percorso lungo anche per la pandemia, è durato quindi più del previsto. Poi ho cominciato a cercare persone che facessero crescere come attrice, quindi ho fatto laboratori con Fabiana Iacozzilli e con Michele Sinisi, nel frattempo ho incontrato Domenico Laddaga (regista di Estasi, ndr). Sto continuando a cercare di incontrare persone che stanno sul campo, sia teatrale che cinematografico: penso anche che sia necessario fare delle scelte sulla propria formazione, capendo chi ti interessi seguire.
Nel tuo mestiere applichi o studi un ‘metodo’ di recitazione? Hai una tecnica? Oppure sei un’ attrice ‘di pancia’?
Non escludo che il lato emotivo sia una parte importante del lavoro. Non seguo un metodo in particolare e in Accademia ci hanno aperto tante strade differenti; credo fortemente che il rapporto con il proprio corpo sia importante e nel periodo accademico il metodo che è arrivato di più è quello dell’importanza delle azioni fisiche, studiando biomeccanica, i maestri russi, sempre basandoci su come il corpo entri nelle azioni e quindi come i personaggi facciano delle cose, per capire così la loro psicologia e il loro back round. È stato anche questo che ho usato per l’interpretazione di Estasi.
Parliamo di talento: non tutte le persone che recitano lo possiedono, possono essere ben dirette e funzionare ma il talento è una virtù innata, da coltivare, ma che nessuno ti insegna. Tu hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia ‘il talento’ appunto?
È una domanda molto difficile perché non ho una risposta precisa che sono certa sarà la stessa per tutta la mia vita. Penso sia qualcosa di molto variabile, duttile: per la mia esperienza, ‘avere talento’, significa essere pronti a essere disponibili, a essere capaci di ascoltare quello che ti viene richiesto. Non solo quando sei su un set o quando sei diretto devi avere questa apertura, ma parlo proprio di un’apertura mentale e di pancia, nel senso che dev’esserci quel tipo di ascolto che ti permetta di cambiare punto di vista, per vedere non solo quel personaggio o quell’azione dentro un’ottica personale, ma pensando a come la faresti o la guarderesti se i tuoi occhi fossero quelli di un’altra persona. Penso il talento sia una dote innata ma allo stesso tempo vada allenata e dipenda davvero dall’allenamento che si fa ogni giorno, cercando di comprendere la diversità del proprio punto di vista.
Il genere cinematografico, che nel cinema italiano ha avuto grandi stagioni nel passato, sta un po’ riprendendo piede; così come si stanno moltiplicando le serie con giovani interpreti. Cosa pensi dell’opportunità eventuale di sperimentarti in un film di genere e semmai quale senti più affine, e che occasione potrebbe essere partecipare a una serie?
Sono affascinata dalla serialità e molto interessata a determinate storie. Penso che alcune siano diventate occasioni per entrare dentro una storia, con un’apertura del cinema alle stesse, in quanto creature capaci di abbracciare sia l’opera cinematografica che il racconto esteso, per la cura e la narrativa parimenti a quelle di un film. Sono ammirata da alcuni lavori come Better Call Saul, incredibile; The Sinner, serie antologica; o anche le serie sul potere che raccontano in modo interessante determinate dinamiche, come The Crown o House of Cards, con attori che ammiro. Mi interesserebbe molto mettermi in dialogo con un personaggio che, potendolo portare dentro più episodi, mi dia la possibilità di raccontare il cambiamento e l’evoluzione, quindi mi interesserebbe molto interpretare un personaggio di serie. Per il genere, mi piacerebbe molto interfacciarmi con tinte d’epoca, magari di fine ‘800: penso al film Lady Macbeth, quello è un personaggio che sento estremamente nelle mie corde.
Essere destinataria di un premio, sempre nell’ottica dell’essere ‘una debuttante’, che valore pensi possa avere per la carriera? Per te personalmente ma anche per chi ti osserva, chi ti dovrà scegliere per prossimi progetti.
Ecco un’altra domanda su cui mi sto interrogando da quando ho ricevuto i due premi per Estasi! Penso che i festival siano un’occasione molto interessante di scambio di energie e al di là delle potenzialità a livello lavorativo, di conoscenze, per me sono anche stati un regalo nel mio percorso, per cui sono riuscita a ricaricarmi: in certe occasioni ti rendi conto di come tu possa stare a guardare quello che hai fatto; per me sono stati in primis questo, entrambi i premi. Se ci siano delle possibilità voglio sperare sia così, sono occasioni che mi hanno messa in contatto con qualcuno e auspico possano derivare collaborazioni con persone con cui mi sono sentita in connessione quando le ho incontrate; dall’altra parte, a essere del tutto sincera, ogni tanto mi sento un po’ come la protagonista di Estasi: mi sento un po’ come se fossi in una grande solitudine, in cui cercare di trovare la forza dentro me stessa e al mio corpo, per trovare un altro posto che sia il mio, a cui appartengo veramente.
Mentre, da spettatrice, cosa guardi con più piacere e curiosità? E ricordi il primo film visto al cinema e/o il primo film che ti ha segnata all’idea di far l’attrice?
Ho una fascinazione per i registi italiani che hanno fatto la Storia del nostro cinema: penso a Pasolini o Fellini, personaggi che sento di non conoscere davvero a fondo; facendo un bilancio della mia conoscenza cinematografica la reputo scarsa, rispetto anche persone mie coetanee e che fanno lo stesso mestiere. Il cinema è una creatura che mi fa paura e sento di non aver ancora abbastanza bagaglio cinematografico. Da spettatrice, i film che m’interessano di più sono quelli che entrano in situazioni specifiche come La morte e la fanciulla di Polanski o Carnage, capaci di entrare nelle situazioni, portando all’estremo l’essere umano. Non credo, comunque, ci sia stato un film specifico che mi abbia influenzata per il mestiere, ma forse Audrey Hepburn con Colazione da Tiffany e Vacanze Romane è stata una delle prime attrici che mi hanno fatta pensare che mi sarebbe piaciuto avere quel tipo di possibilità per raccontare una storia, anche se guardandola non è la mia attrice di riferimento; però, sempre da piccola, ho visto Susanna!, di cui ammiro tantissimo la protagonista, Katharine Hepburn, anche se non credo di avere le sue corde brillanti, ma questo sì, è un film che mi ha segnato e in modo subliminale mi ha dato la spinta di intraprendere questo mestiere; lei è davvero un’attrice che guardo e penso che sì, mi piacerebbe essere un’interprete così. Il primo film visto al cinema è stata un’animazione, Spirit – Cavallo Selvaggio, che tra l’altro ho rivisto ultimamente, rendendomi davvero conto di quanto sia potente e commovente, con tematiche importanti e complesse.
Progetti per il futuro.
Sto valutando attentamente quello che potrebbe essere il mio percorso cinematografico, e sto seriamente pensando di lavorare con un agente che sia davvero presente, con cui avere un rapporto diretto e mi piacerebbe veramente tanto lavorare con una persona nello specifico… vabbé, lo dico: moltissimo con Donatella Franciosi.
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