Michele Riondino: “Un film sul lavoro che mi tocca da vicino”


VENEZIA – Un tempo e un luogo sospesi, quello dell’età di mezzo dell’adolescenza e quello dello spazio “vuoto” tra il brulichio industriale della fabbrica Lucchini di Piombino e il paradiso naturale dell’isola d’Elba. Si muove oscillando tra questi opposti Acciaio di Stefano Mordini, l’atteso film italiano delle Giornate degli Autori tratto dal romanzo omonimo di Silvia Avallone, bestseller vincitore del premio Campiello. Prodotto da Palomar e Rai Cinema, arriverà nelle sale grazie a Bolero, ma per ora ha catapultato al Lido il ricco cast composto da Michele Riondino, Vittoria Puccini, Anna Bellezza e Matilde Giannini. Insieme al regista di Provincia meccanica danno vita a un romanzo di formazione duro come l’acciaio che si sforna a ciclo continuo nella fabbrica in cui lavora Alessio (Riondino), infaticabile operaio che crede nel suo lavoro nonostante le mille difficoltà, ed è disposto a lasciarsi “distrarre” solo dal suo travagliato amore. Quella Elena (Puccini) che è tornata in provincia per mettersi dall’altra parte della barricata, diventando l’interlocutore borghese chiuso nell’alto degli uffici che dominano la fabbrica. Ma al centro del racconto ci sono anche Anna (sorella di Alessio, interpretata da Matilde Giannini) e Francesca (Anna Bellezza), adolescenti belle e smarrite che si rifugiano nella loro amicizia sensuale, nascoste tra le dune di una spiaggia segreta, in attesa di capire il mistero dell’adolescenza e di sfuggire dall’innocenza. Intanto, il ciclo dell’acciaio, rumoroso, fumoso e minaccioso, non si interrompe mai. Tarantino di origine, figlio e nipote di operai dell’Ilva e già interprete di una storia ‘di fabbrica’ ambientata proprio nella sua città con Marpiccolo, Michele Riondino si ritrova in laguna con due ruoli importanti: questo in Acciaio e quello in Bella addormentata, l’attesissima pellicola di Marco Bellocchio sull’eutanasia. 

 

Riondino, le è capitato di girare un film in fabbrica proprio mentre infuoca la questione dell’Ilva di Taranto, di cui lei è originario…

Ci sono tante coincidenze, ma in realtà Acciaio non parla di ambiente, anche perché la Lucchini ha un altro atteggiamento sul territorio rispetto all’Ilva, che invece del territorio di Taranto abusa. Ci sono però molte affinità tra me e il mio personaggio, perché ho fatto studi tecnici proprio sul ciclo dell’acciaio e io, come Alessio, sono fuggito da una realtà di provincia. Questo film mi riguarda da vicino. Ma non ho costruito il personaggio sui miei giudizi sulla fabbrica, perché nella realtà non ci sono mai entrato, invece nel film la vivo dall’interno e la prospettiva è completamente diversa.

 

Quindi più che un film sull’ambiente, Acciaio è un film sul lavoro. 

Sì, vi si mostra quanto sia usurante quello in acciaieria, ma anche quanto ci si possa essere attaccati. Oggi non c’è ambizione più grande che mantenerlo, il lavoro: un tema ancora più attuale dell’Ilva.

 

Che effetto ha avuto su di lei raccontare una storia tanto vicina alla sua esperienza?

Mi ha aiutato a fare pace con una certa idea di fabbrica legata alla realtà dell’Ilva. Poi con le notizie di questi giorni ho di nuovo dissotterrato l’ascia di guerra. E’ deprimente vedere che si trasferiscono delle scelte importantissime sui lavoratori, è sbagliato, le responsabilità sono di altri. La politica si disinteressa di Taranto, eppure pare che ci siano ben tre ministri dello Sviluppo, mentre quello della Salute tace. Evidentemente pensa che a Taranto bisogna continuare a respirare diossina. Per me non è così.

 

Come pensa verrà accolto il film nella sua città?

Non so, in effetti non parla della stretta attualità, però c’è molto il ritmo della fabbrica. Ho seguito i turni, le squadre e ho vissuto il tentativo dell’azienda di responsabilizzare gli operai con cartelli che dicono ‘se ti succede qualcosa è colpa tua’, e in questo la Lucchini è come l’Ilva. E poi per voi giornalisti certe cose sono degli scoop, per noi di Taranto le bustarelle girate intorno all’Ilva sono verità di popolo.

 

Il film è molto agganciato alla città di Piombino, come avete lavorato sul territorio?

Ho dovuto lavorare su un’aderenza linguistica e al territorio, imparare a vivere la città, i percorsi piombinesi. Come a Taranto, i luoghi sono sempre quelli, gli spostamenti sono geometrici. Ci siamo tarati su ritmi lavorativi e sociali locali, anche quelli di una ‘movida’ che in realtà non si muove.

 

Che progetti ha prossimamente?

Farò teatro per un po’. Ho un nuovo spettacolo, inedito e realizzato dalla mia compagnia, a metà settembre, che sarà a Roma a gennaio e si intitola Siamosolonoi, ma non ha nulla a che fare con Vasco. Mi butto sul palcoscenico perché avevo bisogno di respirare un po’ di polvere sana.

03 Settembre 2012

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