Michel Hazanavicius: la guerra in Cecenia secondo le vittime

Dopo il successo di The Artist, Michel Hazanavicius è attesissimo sulla Croisette con il dramma bellico The Search


Pur non costituendone un remake, il film è ispirato a un classico omonimo di Fred Zinnemann del 1948, ambientato nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e dei campi di concentramento. Questo film sposta invece l’azione in Cecenia, sorprendendo per realismo e crudezza, ma lasciando comunque uno spiraglio di speranza. Tra Germania Anno Zero e Full Metal Jacket, il film segue due storie parallele destinate a incrociarsi: il processo di ‘ritorno alla vita’ di un bambino traumatizzato dall’aver assistito al massacro della sua famiglia per mano dell’armata russa, e l’inversa ‘deumanizzazione’ di un soldato costretto ad arruolarsi, catapultato in un ambiente violento e ostile, dove si insegna a uccidere prima di farsi uccidere. Nel cast anche Bérénice Bejo, compagna del regista nella vita, e Annette Bening.

Rispetto a The Artist, ha cambiato totalmente genere e registro. Lì faceva di tutto per mostrarci che eravamo in un film, qui, in alcune sequenze, siamo quasi al documentario. Perché questa scelta così radicale?

Per la verità ho in mente questo film più o meno da quando è nato The Artist, hanno viaggiato in parallelo. Il successo del primo mi permette oggi di realizzare il secondo. Ogni mio film nasce da un desiderio di raccontare una storia. Il conflitto in Cecenia lo conosciamo solo per come ce lo hanno raccontato i cronisti, io volevo approcciarmi in modo più emozionale, con un rapporto diretto ai personaggi e alla storia.

La struttura del film segue i percorsi inversi di due personaggi: il bambino e il soldato, destinati a incontrarsi alla fine. Come è nata questa idea?

La storia del bambino viene dal The Search originale, ma ho trovato che aggiungere il percorso di de umanizzazione del soldato mi aiutasse a sottolineare quello che volevo anche nella parte complementare. Tra l’altro i due attori che li interpretano si assomigliano e su questo ho giocato.

Perché ha scelto di parlare proprio del conflitto in Cecenia?

Perché contiene tutti gli elementi drammatici della guerra moderna. Nel 14-18 le stime delle perdite davano l’80% soldati e il restante civili. 50 e 50 nella seconda guerra mondiale mentre in Cecenia le vittime civili superano nettamente il numero di quelle armate. E c’è una certa indifferenza da parte della comunità  internazionale, il problema dell’informazione controllata. L’immagine della guerra che ci arriva è orientata dall’alto. In più ho lavorato a un documentario sui genocidi in Rwanda e questo sicuramente mi ha sensibilizzato.

In definitiva, qual è la sua opinione del comportamento dell’Armata Russa?

E’ una grande macchina produttrice di soldati, formati per garantire la pace nel mondo ma fin troppo spesso le situazioni sfuggono di mano. Mi lasci dire che non ho voluto fare un film politico, che prendesse una posizione. Ho lasciato voce a coloro che subiscono la guerra, senza tifare per una parte o per l’altra. Il fatto che nell’esercito ci siano mercenari e che abbiano compiuto degli omicidi ingiustificati è storicamente comprovato. Ma il film non difende una causa, voglio solo che la gente resti toccata dalla storia. E’ l’ambiente a dirti che si tratta delle Cecenia, ma potevo teoricamente ambientarlo in qualsiasi altro conflitto.

Aveva in mente film di guerra precedenti? Noi vedendo il film abbiamo pensato a Germania Anno Zero e a Full Metal Jacket di Stanley Kubrick…

Ku-chi? Scherzi a parte, certo che li avevo in mente. Ma se ragioni così non puoi fare più nulla, filmare elicotteri o cowboy, o film di guerra, appunto. Ho cercato di non riguardarlo per non farmi influenzare, e poi le strutture sono diverse.

Come ha conivolto Annette Bening?

Non immaginavo che una star hollywodiana avrebbe risposto con tanto entusiasmo, ma mi ha detto che lo riteneva un film importante da fare e lo ha fatto. Ha lasciato i suoi figli da soli per la prima volta dopo molto tempo.

E gli attori non professionisti?

Per i ceceni abbiamo fatto un casting nei villaggi. Ho chiesto a una di loro, Zukhra Duishvili, se sognasse di fare l’attrice e mi ha risposto: ‘ma non ci penso proprio. Però questo è un film molto importante, e anche se per me sarà dura, lo voglio fare’. E in effetti lo è stato perché le ha ricordato delle cose brutte che ha vissuto lei in prima persona. Per quanto riguarda invece i russi mi sono mosso tra ucraini e moscoviti e ho scoperto una scuola attoriale veramente eccezionale.

21 Maggio 2014

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