Se un film può essere considerato un cult dal numero di espressioni entrate nel linguaggio comune, allora Fantozzi non è solo un classico, è un vocabolario a sé. Da “megaditta” a “salivazione azzerata”, da “nuvola di Fantozzi” a “cagata pazzesca”, le battute del ragioniere più sfortunato d’Italia hanno trasceso il cinema per diventare formule magiche con cui descrivere il nostro quotidiano. Cinquant’anni dopo, il nostro lessico è ancora infestato dalle sue parole e, diciamolo, molti di noi continuano a sentirsi un po’ fantozziani nelle situazioni peggiori.
Sono passati cinquant’anni dal debutto cinematografico del ragionier Ugo Fantozzi, creatura tragicomica nata dalla penna tagliente di Paolo Villaggio, eppure il suo impatto culturale continua a essere straordinario. Sebbene all’uscita nel 1975 la critica non ne riconoscesse subito il valore, oggi il film Fantozzi rappresenta una pietra miliare indiscussa del cinema italiano, una lente attraverso cui leggere i difetti e le ipocrisie della società contemporanea.
Paolo Villaggio stesso ha sottolineato, già all’epoca del film, come Fantozzi incarnasse l’uomo medio, vittima delle circostanze e prigioniero delle proprie debolezze e incertezze. Secondo Villaggio, Fantozzi è una figura capace di esprimere l’assurdità quotidiana e la frustrazione universale, rendendolo un personaggio non solo italiano ma profondamente umano e trasversale nel tempo. Il regista Luciano Salce, subentrato dopo il mancato avvio con Salvatore Samperi, si è rivelato decisivo nel definire l’identità cinematografica del personaggio. Salce, con la sua sensibilità e la sua ironia sofisticata, ha creato un equilibrio tra comicità pura e satira sociale acuta, riuscendo così a enfatizzare le contraddizioni dell’Italia degli anni Settanta, ma anche la dimensione esistenziale e tragica nascosta dietro la risata.
Il successo di Fantozzi è stato graduale ma straordinario: settimo al box office italiano dell’epoca con oltre sette milioni e mezzo di spettatori e un incasso record di oltre sei miliardi di lire, il personaggio interpretato da Villaggio si è imposto come un’icona della cultura popolare. Villaggio aveva già riscosso successo editoriale con il libro omonimo del 1971 e ha sempre dichiarato come il personaggio fosse ispirato dalle sue esperienze personali e dalle dinamiche sociali italiane dell’epoca.
L’adattamento cinematografico amplifica la satira corrosiva del libro, trasformando le disavventure di Fantozzi in sketch esilaranti e grotteschi, dieci brevi episodi indipendenti che scandiscono con umorismo feroce la vita del protagonista. Le risate nascondono però un retrogusto amaro, a tratti disturbante, come nella celebre e oggi controversa scena della figlia Mariangela, interpretata da Plinio Fernando, derisa apertamente da superiori e colleghi in un crudele episodio natalizio. È la grandezza e il limite di un film che riflette il cinismo degli anni ’70, oggi impossibile da replicare.
Villaggio incarna un eroe negativo, una sorta di “supereroe del dolore“. Fantozzi è resistente alle umiliazioni e alla sofferenza fisica, sopravvive a incidenti grotteschi con la stessa inverosimile determinazione di un personaggio animato, un Coyote che non muore mai definitivamente.
Non meno importante è l’analisi impietosa della misoginia e dell’opportunismo sociale presente nella pellicola. I personaggi femminili oscillano tra caricature grottesche e figure seduttive crudeli, mentre gli uomini non sono che vittime patetiche, incapaci di evolversi o ribellarsi a un sistema oppressivo e alienante.
A distanza di mezzo secolo, Fantozzi è molto più di un semplice fenomeno comico: è uno specchio distorto della nostra società, capace di rivelare con una satira affilata e implacabile i difetti profondi, le frustrazioni e i piccoli drammi quotidiani che segnano la vita moderna. Ancora oggi, forse con una forza maggiore rispetto al passato, ci pone di fronte a verità scomode e inevitabili, facendoci sorridere ma anche riflettere su temi come il conformismo sociale, il precariato esistenziale e la crisi d’identità individuale. Non sorprende dunque che le espressioni e le situazioni fantozziane siano entrate stabilmente nel lessico comune, trasformando il personaggio di Villaggio in un riferimento imprescindibile nella cultura popolare italiana e in un simbolo collettivo dell’assurdo quotidiano.
Curiosità e aneddoti su Fantozzi
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