Martina Monti: la grande avventura di L.A.

La giovane attrice si è trasferita a Los Angeles dall'Italia per tentare la grande avventura hollywoodiana


Martina Monti ha scelto la strada dell’avventura, varcando i confini nazionali e approdando direttamente nella culla del grande cinema hollywoodiano, Los Angeles, dove oltre a costruire la sua carriera deve fare i conti con il fatto di essere straniera in terra straniera. Ci racconta così la sua esperienza.

Dicci tu stessa del tuo percorso…

Dopo essermi laureata all’Università degli Studi di Bologna (DAMS, Discipline Artistiche, della Musica e dello Spettacolo) e aver completato un Master di Scrittura e Sceneggiatura presso l’Università Iulm di Milano (Master in Arti del Racconto), ho proseguito i miei studi negli Stati Uniti. Ho frequentato dei corsi in diverse accademie di recitazione: “Lee Strasberg Institute” e “Stella Adler Academy of Acting and Theatre”. Ho ottenuto un Certificato di Recitazione (Acting Certificate) presso la UCLA Extension a Los Angeles (dicembre 2022), dopo aver completato un programma di un anno in cui ho esplorato varie tecniche di recitazione (Meisner, Alexander Tecnique, Uta Hagen, Strasberg) e seguito corsi sulla recitazione per Film e TV, Pre Produzione e Post Produzione, Voce e Movimento. Sto continuando a studiare recitazione seguendo lezioni settimanali tenute da Rob Brownstein al “The Hudson Theatres” a Hollywood.

Hai recitato innanzitutto in diversi cortometraggi come attrice protagonista… quali sono quelli a cui tieni maggiormente?

Innanzitutto c’è Seen, che ho scritto e prodotto, con la regia di Olivia Martini. Parla di violenza sessuale, un tema molto trattato, da un lato, ma su cui esistono ancora troppi stigmi e troppo ‘non detti’, perché spesso le vittime si sentono colpevolizzate e non ne parlano. L’ho scritto anche per dar loro voce. E’ finito e lo stiamo mandando ai festival. In UCLA si possono scegliere corsi che esulano dalla disciplina principale, io ho fatto sceneggiatura e qui ho incontrato la regista. Scrivere il corto era parte del percorso scolastico, mentre produrlo è stata una mia scelta, per questo non si può considerare un progetto esclusivamente scolastico. E’ stato visionato anche da produttori di HBO e Netflix che sono arrivati in UCLA e mi hanno incoraggiato alla produzione.

E gli altri?

Il primo a cui ho partecipato, assieme a un’altra amica attrice, è stato Proof, tratto da un’opera teatrale di David Auburn, esperienza importantissima ma chiaramente non originale a livello di idea. Un mese e mezzo fa invece sono stata scelta a un provino per I’m drowning, dove interpreto una serial killer. Ho imparato a maneggiare le armi senza nuocere a nessuno, quindi una grande esperienza. Infine, recentissima, la realizzazione di Dead End per il 48 Hour Film Project di San Diego, un festival dove i partecipanti devono realizzare un corto in soli due giorni. Avrà la sua première il 12 luglio.

Nell’estate del 2022 hai girato il pilot di una Sitcom, Studio 205

Sì, assieme a due sceneggiatrici e attrici conosciute durante i miei studi alla UCLA, ho scritto e prodotto. Al momento il progetto è in post produzione. Racconta la storia di tre ragazze (una di loro, Elettra, interpretata da me) con personalità eccentriche e incompatibili, che si trasferiscono a Los Angeles e si ritrovano a dover condividere un piccolo appartamento.

Di cosa parla?

Soprattutto delle difficoltà che, da immigrato, devi affrontare per vivere in una città come L.A. Trovare un appartamento è difficile, intanto per via di preconcetti sugli stranieri, e poi perché i costi sono veramente alti. Ci si deve stringere. Abbiamo unito le forze. Los Angeles è piena di immigrati come noi che sono qui proprio per tentare la via del cinema.

Grazie ad alcune esperienze come “Key Actor” in varie Serie TV, come cui Winning Time e Curb your Enthusiasm, hai avuto la possibilità di lavorare sul set con artisti e star come Jenna Ortega o Adrien Brody…

Sì, sono piccoli ruoli, a volte piccolissimi, pochi secondi, però ti danno tanta possibilità di crescere. Ho girato in una prigione – dove appaio parlando al vetro con un visitatore tramite il telefono – una vera prigione con detenuti dentro. Hanno liberato l’area apposta per noi. Un carcere con condizioni di vita particolarmente dure, appena fuori L.A., a cui non avrei avuto accesso in altro modo. E cos’altro hai imparato? Sono set grandi, si fa tanta esperienza. In Winning Time, che è lo show con Brody, ho visto come ad esempio le vere squadre di basket coinvolte dovessero simulare degli errori per far funzionare la narrazione. Anche se hai un ruolo piccolo capisci come lavorano i grandi. In Curb your Enthusiasm giravamo sul set che riproduceva un aereo – in realtà una sua sezione – e a un certo punto un attore ha iniziato a urlarmi contro. Non ho capito che stesse improvvisando, però meglio, perché la mia reazione è stata funzionale a quello che dovevamo girare.

Come funziona il ‘visto’ per i lavoratori dello spettacolo?

L’ho ottenuto grazie alla UCLA ed è specificamente dedicato agli artisti. Mi è arrivato a gennaio, quindi ho iniziato da poco. Puoi lavorare solo nell’ambito delle tue specializzazioni, che siano da addetto dietro alle quinte (regista, sceneggiatore) o da performer, come ad esempio per un attore o un ballerino.

Dicci il nome di un regista con cui amerebbe lavorare e di un’attrice che ti ispira…

Il regista è senza dubbio Martin Scorsese, il mio preferito. Le attrici potrebbero essere tante ma ne scelgo due che sono venute da fuori, a cui mi accomuna il percorso: Salma Hayek e Ana de Armas.

Andrea Guglielmino
08 Luglio 2023

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