Non si smette mai di essere mattatori. Lo ha dimostrato ancora una volta Lino Banfi, un artista della scena che ha saputo reinventarsi così tante volte nella sua sessantennale carriera che ormai abbiamo perso il conto. Sul palco del Milazzo Film Festival, invitato per ritirare dalle mani del corregionale Michele Riondino l’Excellence acting award, l’attore ha saputo intrattenere un Teatro Trifiletti strabordante di spettatori semplicemente rievocando alcuni momenti della sua vita e della sua carriera: dall’incontro con Totò, al suo amore per la Sicilia, fino al ricordo commosso dell’amata Lucia, con cui avrebbe celebrato 62 anni di matrimonio proprio il 1° marzo 2024. Aneddoti, riflessioni, barzellette. Un maestro della risata come ce ne sono pochi, che non ha smesso di regalare storie e sorrisi per tutta la giornata che lo ha visto protagonista: dall’incontro stampa del pomeriggio, alla premiazione serale, fino alla cena privata con gli organizzatori e i partner del festival.
Per celebrare la presenza di Banfi, i direttori artistici del festival Mario Sesti e Caterina Taricano hanno scelto di proiettare uno dei suoi cult più celebrati: L’allenatore nel pallone di Sergio Martino, uscito nelle sale proprio 40 anni fa. Un film talmente iconico che non sarebbe strano ipotizzarne un remake o un nuovo sequel, così come sta accadendo per tanti classici degli anni ’80 e ’90, per ultimo il Piedone di Bud Spencer. “Qualcuno lo sta vociferando, magari accadesse. – racconta alla stampa – Io lo chiamerei L’allenatore ai mondiali o Canà ai mondiali. Torna di moda, ci sono tanti allenatori di una certa età. Si potrebbe anche ragionare su cosa fanno i famosi mister della serie A e della nazionale quando vanno in pensione. Staranno da qualche parte, magari in poltrona a vedere la tv tutta la sera, o si riuniscono tra di loro a giocare a burraco. Qualcosa faranno. Lo devo scoprire. In ogni caso, un remake è possibile che si faccia”.
Nonostante un’esperienza cinematografica impressionante, il ruolo che forse gli è più rimasto addosso è uno televisivo: l’amato nonno Libero di Un medico in famiglia, la più longeva serie tv italiana, girata per quasi un ventennio nel Teatro 20 di Cinecittà. “Per me è stata una grande lezione imparare a fare il nonno, sia con i nipoti veri, che con quelli finti. – afferma Banfi – La figura del nonno ha completato la mia carriera, devo molto a nonno Libero. Me lo sono cucito addosso. Anche perché diventare il nonno d’Italia – lo ha proclamato anche Sua Santità – è un onore e un onere. Forse si farà l’ultima serie di poche puntate per salutare tutto il pubblico. A me farebbe molto piacere, sono ancora in tempo. Sto facendo i tempi supplementari”.
Un attore che ha saputo cavalcare l’onda del successo per tante decadi non può solo fare affidamento sul talento. Secondo Banfi, ciò che serve è “la cocciutaggine. Bisogna avere i paraocchi, ma non solo per fare l’attore. Andare avanti per la propria strada. Nel 1954 dormivo nella stazione di Milano, con altri meridionali. Ero disperato, non sapevo fare nessun mestiere. Eppure dicevo: io un giorno sarò famoso, firmerò gli autografi. Tutti mi prendevano in giro”.
In un’edizione del Milazzo Film Festival intitolata “Attorstudio”, non poteva mancare una riflessione sul suo mestiere e sulle nuove generazioni di attori comici. “Sono cambiati i tempi e i metodi per promuovere le tue qualità, se ci sono. – afferma – I comici ora hanno poco tempo per farsi notare, il problema è che lo calcolano male. È come con i grandi nuotatori, che se non calcoli bene il tempo dell’apnea non puoi essere campione. Oggi prendono il respiro e partono veloci, dicono due o tre parolacce che sanno di avere la risata sicura, poi però finisce l’apnea. E da questo a passare a fare un film di un’ora e mezza non è facile”.
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