MILAZZO – Il corpo dell’attrice, ma anche il suo pensiero e il suo punto di vista sul mondo. Ospite del Milazzo Film Festival – Attorstudio, Sonia Bergamasco è stata protagonista assoluta di una serata in cui ha potuto sviscerare il suo “misterioso” mestiere, presentando prima il suo libro Un corpo per tutti e poi la sua opera prima da regista: il documentario Duse – The Greatest, co-prodotto e distribuito da Luce Cinecittà. Infine, sul palco è salito anche Marco Tullio Giordana che ha premiato con l’Acting Award l’attrice con cui ha collaborato più volte negli ultimi 20 anni, da La meglio gioventù e La vita accanto.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’attrice, che è attualmente in sala con il film Il Nibbio.
Sonia Bergamasco, nel suo libro parla dell’attore come un “traghettatore di emozioni”. Quando legge una nuova sceneggiatura, quali emozioni ricerca?
Quando leggo una sceneggiatura cerco sempre di percorrerla con il cuore, emotivamente, non solo con la testa. Mi ci metto proprio dentro, immaginandomi fisicamente per sentire d’istinto quello che potrei fare e quello che non potrei fare, quello che mi suscita e che non mi suscita. Penso che per me sia il modo migliore per arrivare a una possibile emozione.
Qual è stata la sfida di raccontare un’attrice, quindi anche il suo corpo, come Eleonora Duse, di cui abbiamo pochissime testimonianze visive?
Non l’ho presa come una sfida, era una faccenda amorosa. Mi sono innamorata di questa donna, di questa artista e quindi ho desiderato di raccontarlo. Nell’avvicinarmi a lei, nel cercare fonti, immagini, notizie, testimonianze, mi sono resa conto che attraverso questa grande assente – perché di lei abbiamo veramente poco – era anche possibile parlare del mestiere d’attore oggi, un mestiere così fisico e così misterioso. Lei, traghettatrice di immagini e di potenzialità per un mestiere che, proprio perché è tutto corpo, è anche inattingibile.
Quindi, secondo lei, il mestiere non è cambiato nell’ultimo secolo? Una giovane attrice perché dovrebbe avere come modello Eleonora Duse?
Intanto i modelli servono, possibilmente positivi. Per me personalmente è stato un modello assente, non avendola mai incontrata. È stato uno sprone a fare sempre meglio, ad avere coraggio, a sapere che tutto quello che lei ha attraversato, lo attraversano diversamente anche le nuove generazioni. Anche se lontana nel tempo, è vicina poeticamente. È nostra contemporanea.
È appena uscito nelle sale Il Nibbio, in cui interpreta Giuliana Sgrena. Quale aspetto di questa donna ha voluto portare sullo schermo?
Mettendo alla luce questi 28 giorni di buio, esce la sospensione della libertà. La netta sensazione che la morte è vicina, che non uscirà mai da quelle quattro mura. Quindi lo spaesamento, la fragilità e, nello stesso tempo, il coraggio di stare in quella situazione estrema consapevole del fatto che lei era lì per un’azione di pace, per fare il suo mestiere, per testimoniare. Lei viene ingiustamente sequestrata e poi arriverà quest’uomo giusto, che fa un mestiere estremamente diverso dal suo. Sarebbe potuta morire anche lei, che è solo rimasta ferita. C’è un prima e un dopo questa vicenda, che ancora aspetta risposta. Giuliana Sgrena è sempre stata una giornalista militante e ha sempre messo al centro delle sue ricerche la situazione delle donne. Tutti i suoi libri parlano di questo e per me è stato molto importante leggerla prima di incontrarla.
Cosa vuol dire per lei avere un punto di riferimento registico, un artista di cui fidarsi come Marco Tullio Giordana? Cosa ha rubato dai maestri con cui ha collaborato per il suo esordio alla regia?
C’è una stratificazione di elementi. Si ruba sempre, tutti rubano. Marco Tullio Giordana è più di un grande artista, è un amico, una persona di cui mi fido completamente. Nel suo ultimo film mi sono affidato ciecamente alla sua visione: una visione in cui dovevi immergerti, non c’era altra scelta. Sicuramente un punto di riferimento per me, come lo è stato Giuseppe Bertolucci, come lo sono Marco Bellocchio, con cui non ho mai lavorato, o alcune autrici. Non ho pensato ai riferimenti, ho pensato a Eleonora Duse quando facevo quel viaggio.
Il miglior cortometraggio è stato The Ballad di Christofer Nilsson, il miglior lungometraggio documentario Kissing Gorbaciov di Luigi D’Alife e Andrea Paco Mariani
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