MILAZZO – Nel 2015 Vanessa Scalera era un’apprezzata ma “squattrinata” attrice, prettamente teatrale. Le sue apparizioni al cinema e in tv non le avevano ancora dato la popolarità a livello nazionale e il suo punto di riferimento era il Teatro Argot Studio, un piccolo teatro off di Trastevere di appena una cinquantina di posti dove provava e metteva in scena gli spettacoli scritti dal suo compagno Filippo Gili. Durante una di queste prove arrivò una delle chiamate più importanti della sua carriera, quella che le confermava di essere stata scelta come protagonista del film Lea, diretto da Marco Tullio Giordana.
L’attrice lo ha raccontato ieri al Milazzo Film Festival – Attorstudio, descrivendo come quel provino in cui Giordana “la riconobbe” come protagonista del suo film su Lea Garofalo (presentato per l’occasione al pubblico siciliano) le abbia aperto la strada al mondo del cinema e della tv. Pochi anni dopo arrivò il successo clamoroso di Imma Tataranni, la popolarità e, soprattutto, il telefono iniziò a squillare senza sosta. Tanti i ruoli “storti” in cui Scalera si è distinta negli ultimi anni: la zia Cosima nella discussa miniserie Qui non è Hollywood, la costumista Bianca Vega nel film campione d’incassi Diamanti di Ferzan Ozpetek, la giovane nonna di Storia della mia famiglia e, proprio nelle ultime ore, la compagna di Checco Zalone nel video musicale L’ultimo giorno di patriarcato rilasciato per la Festa Internazionale della donna.
Negli ultimi dieci anni la vita professionale di Vanessa Scalera è cambiata completamente, con il suo talento che non è più riservato ai pochi appassionati dell’Argot e delle cantine romane, ma ha ormai un respiro nazional popolare.
Abbiamo incontrato brevemente l’attrice a latere dell’incontro in cui le è stato consegnato – proprio dalle mani di Marco Tullio Giordana – l’Acting Award del festival diretto da Caterina Taricano e Mario Sesti.
Dal Teatro Argot al successo di questo ultimo anno, com’è cambiata Vanessa Scalera in questi dieci anni?
Ieri stavo all’Argot a vedere uno spettacolo di Filippo Gili. Quindi non è cambiato niente. Io non sono cambiata, è cambiata una cosa fondamentale: la possibilità di fare questo mestiere in maniera continuativa.
Uno spettacolo molto apprezzato di quegli anni, Dall’alto di una fredda torre, scritto proprio da Gili, è diventato da poco un film, in cui lei stessa è tornata a recitare. Il testo fa parte di una trilogia molto intensa, perché è stata scelta proprio quella pièce delle tre?
È stato Francesco Frangipane a chiedere anni fa a Filippo di fare una trasposizione e di scrivere una sceneggiatura. L’idea è stata sua. Credo che dei tre fosse il testo più cinematografico.
Recentemente Luca Marielli è stato attaccato per le sue dichiarazioni sulla difficoltà di interpretare Mussolini nella serie girata a Cinecittà, M. Il figlio del secolo. Avendo interpretato un personaggio come Cosima, che idea si è fatta di questa polemica?
Mi sento d’accordo con Marinelli e non con le critiche che gli hanno fatto. Lui è un grandissimo attore e il male va rappresentato, altrimenti saremmo costretti a interpretare solo personaggi positivi. Anche io, interpretando Cosima, un personaggio controverso, mi sono dovuta calare in un mondo, in un’anima, incomprensibile. Sono dovuta entrare in questa tragedia. Chiaramente quella di Marinelli con Mussolini era una disapprovazione totale, però anche io ho provato all’inizio un disagio enorme nel cercare di comprendere questa donna. L’attore deve fare tutto.
L’attore deve fare tutto, e una cosa in cui lei è bravissima è nell’utilizzo dei vari dialetti. Quando deve cimentarsi in una di queste parti è più incuriosita o intimorita?
Non mi intimorisce, forse solo un po’ il napoletano, perché è una vera e propria lingua e ha una tradizione teatrale, con Edoardo e non solo. Ero un po’ impaurita, poi è bastata una settimana e mi sono detta: devo buttarmi. Ognuno di noi ha un proprio accento di origine, nessuno parla con la dizione. Mi diverte sperimentarmi in altre sonorità che non mi appartengono. Certo Cosima, ad esempio, mi apparteneva, perché nonostante l’accento fosse un po’ diverso, in quel caso ero madrelingua perché vengo da quei territori.
Cosa si sentirebbe di dire a chi, come lei dieci anni fa, nonostante il talento e la gavetta, ancora stentasse a raggiungere il successo?
Non lo so, consigli non ne riesco a dare perché li do ancora a me stessa. Se a trent’anni continui a fare l’attrice vuol dire che quella è la tua strada. Ai ventenni dico solo di individuare se quella è davvero la passione totalizzante e allora fare in modo che diventi un mestiere. Individuarla, capire quanta pena proveresti, senza il cinema, il teatro, la tv. Se provi una pena fisica vuol dire che quella è la tua strada.
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