BERLINO – È una metafora sociale sul Paraguay e insieme uno spaccato sulle differenze di classe l’esordio al lungometraggio di Marcelo Martinessi, Las Herederas, premiato a Berlino 68 con l’Orso d’Argento per la Miglior Attrice (Ana Brun), il premio Alfred Bauer e con il Premio Fipresci della critica internazionale. Un film che racconta di una nazione molto poco rappresentata sul grande schermo, tant’è che è la prima pellicola di origine paraguense ad essere in concorso in una competizione internazionale. Protagoniste due anziane signore unite da tempo da un legame sentimentale, Chela e Chiquita, entrambe discendenti da famiglie benestanti, che a un certo punto della loro vita si trovano ad affrontare un’importante crisi economica che le costringe a vendere parte dei beni ereditati. Ma la situazione prende il sopravvento e Chiquita (interpretata da Margarita Irun, attrice assai conosciuta in patria) per un debito contratto con la banca finisce in prigione con l’accusa di frode. “Una cosa che, per quanto assurda, può davvero capitare in Paraguay, che ha il triste primato di possedere uno dei sistemi giudiziari più corrotti al mondo e dove si può facilmente finire in carcere per debiti”, sottolinea il regista autore anche di La Voz Perdida, miglior corto al Festival di Venezia nel 2016.
Nel momento il cui l’esuberante Chiquita, che gestisce la vita della coppia, finisce in carcere, la sua compagna Chela (l’esordiente Ana Brun), passiva e riservata, è costretta ad affrontare la nuova realtà in una posizione del tutto differente. Si mette per la prima volta alla guida di una macchina e inizia a fornire un servizio di taxi locale a un gruppo di anziane signore danarose. La ritrovata indipendenza porta nella sua vita una nuova prospettiva, mostrandole un orizzonte pieno di possibilità, fatto di libertà e desiderio. “Nel film, che tratta di una storia privata, è simbolicamente rappresentata anche la nuova generazione del Paraguay, che guarda al futuro e cerca di affrontare il cambiamento tentando, con fatica, di liberarsi dalle catene imposte per formare una nuova e più libera società”.
Parallelamente alla timida e cauta scoperta del mondo da parte di Chela, sullo sfondo compare un Paraguay del tutto diverso rispetto agli interni piccolo borghesi inizialmente mostrati, che è quello della prigione in cui è rinchiusa Chiquita. “Il Paraguay è un Paese con profondissime disuguaglianze sociali – racconta il regista – Le due protagoniste appartengono all’élite borghese protetta e privilegiata, e anche quando iniziano a perdere le loro certezze economiche non riescono ad adattarsi alla nuova realtà, tanto che sentono ancora il bisogno dei piccoli lussi cui sono abituate, tra cui l’avere una cameriera sempre a disposizione”. Ecco perché un percorso abbastanza comune, come può essere quello di cercare un lavoro e iniziare a guadagnare, ha su Chela un impatto forte e assume il significato di una personale e intima rivoluzione.
Il film, che ha tra i coproduttori anche il Torino Film Lab, affronta, in maniera estremamente sottile e con pudore, anche il tema dell’omosessualità femminile. “Era importante spingere il pubblico ad una riflessione, ma ho cercato di farlo delicatamente e senza porre etichette. La discriminazione sessuale è ancora un problema in Paraguay, Paese estremamente conservatore in cui l’unico ruolo possibile per una donna è quello di madre e moglie, e l’unico modo di essere uomo è modellato dall’esercito e dalla Chiesa cattolica”. Un’impostazione che non lascia spazio a se stessi, finendo con l’imprigionare tutti in identità prese in prestito. “Una violenza invisibile che, in un Paese così maschilista e militarizzato, mette sotto silenzio e rende del tutto trasparenti le donne”, la definisce Ana Ivanova, altra protagonista del film nei panni della giovane e sensuale Angy. “Rompere questo modello parlandone è già un sottile gesto politico”.
Il film arriva in sala il 18 ottobre con Lucky Red,
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