Le conseguenze dell’amore


Le conseguenze dell'amoreIn sala dal 24 settembre con Medusa, Le conseguenze dell’amore sembra un noir ma forse non lo è. Almeno così dice Paolo Sorrentino, il trentaquattrenne regista napoletano. “Forse ho fatto un noir mio malgrado, come riferimenti sono fermo a Orson Welles”. Di poche parole, come il suo film, un’opera seconda che arriva dopo il successo di critica dell’esordio (L’uomo in più), Sorrentino ha già avuto l’onore del concorso di Cannes per questa storia di solitudine e riciclaggio di denaro sporco tutta ambientata in un albergo del Canton Ticino. “Qualcuno l’ha paragonato a Lost in translation, e il paragone mi ha fatto piacere perché è un film che ho amato. Ma credo che lì ci sia un albergo in cui stare a disagio, qui un albergo dove si vive benissimo”. Tanto che Toni Servillo, che ha dato vita a questo commercialista della mafia, parla di metodo Stanislavski involontario: “Addirittura abitavo in una stanza d’albergo identica a quella del protagonista”. Tra lui e Sorrentino un’affinità elettiva per certi versi misteriosa. “Ci frequentiamo ben poco, ma abbiamo molto da dirci. E rispetto alla malinconia o tragicità dei nostri personaggi abbiamo il gusto della risata, dello scherzo”, svela l’attore. Che ha dato i gesti eleganti e misurati, al limite della maniacalità, a questo “piccolo Sindona”. “Titta Di Girolamo è un personaggio impassibile, imperscrutabile, che passa il tempo in una sotterranea attesa della vita. O della morte, forse preannunciata dal passaggio del carro funebre”, fa eco il giovane cineasta. E spiega che gli altri esistono in funzione del protagonista: “Dunque non ha molto senso rimproverarmi perché il personaggio femminile è appena accennato. A volte i personaggi non hanno vita autonoma”.

Cristiana Paternò
21 Settembre 2004

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