Presentato un po’ a sorpresa in chiusura dell’80ma Mostra del Cinema di Venezia, La società della neve è arrivato su Netflix il 4 gennaio generando il fragore di una valanga. Il film diretto da J.A. Bayona che racconta la storia vera del disastro aereo delle Ande è salito subito in testa ai titoli più visti del momento, grazie anche a un giudizio che mette d’accordo critica e pubblico. Il film è stato scelto per rappresentare la Spagna agli Oscar 2024 e si trova attualmente nella shortlist per il miglior film straniero, colonna sonora, effetti visivi, trucco e parrucco, in attesa delle nomination ufficiali. Ha vinto inoltre il premio del pubblico al San Sebastian Film Festival nella sezione Perlak, con una valutazione senza precedenti. Grazie alla sua storia vera cruda e indimenticabile, all’ottimo cast e alla notevole messa in scena, La società della neve è uno dei film commerciali migliori dell’anno. Eppure, esclusi i pochi fortunati che sono rimasti fino alla fine della Mostra veneziana, nessuno ha avuto l’occasione di apprezzare il film dove più meriterebbe: sul grande schermo.
Il problema della distribuzione nelle sale torna periodicamente quando si parla di grossi titoli prodotti dalle piattaforme. Recentemente è successo con altri film presentati in Concorso a Venezia 80, come The Killer di David Fincher, El Conde di Pablo Larrain e, in passato, di titoli pluripremiati come Mank, sempre di Fincher, The Irishman di Martin Scorsese e Roma di Alfonso Cuarón. Seppure molto meno apprezzato, lo stesso discorso può valere per Rebel Moon – Parte 1, il nuovo film di Zack Snyder. Un kolossal multimilionario (il costo produttivo delle due Parti si aggira intorno ai 166 milioni di dollari) che, al netto dei tanti difetti, avrebbe di certo giovato del grande schermo, grazie al suo comparto tecnico di prim’ordine e allo stile patinato di Snyder.
Questa situazione ritorna frequentemente, soprattutto in Europa, dove le distribuzioni spesso rifuggono i titoli destinati all’uscita in streaming. Un discorso che vale per tutte le piattaforme. Apple Tv+ ci ha concesso di godere al cinema dell’ultimo film di Scorsese Killers of the Flower Moon, ma non ha fatto lo stesso con titoli blasonati come Emancipation, Spirited, Macbeth, Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo e tanti altri. Stesso discorso per Prime Video con i recenti Saltburn, acclamato nuovo film di Emerald Fennell, la commedia natalizia Elf Me e con tanti altri esempi in passato, come i candidati all’Oscar Argentina 1985 e Quella notte a Miami.
Il pubblico si trova così costretto a fruire di titoli dal forte impatto visivo accontentandosi del piccolo – se non addirittura piccolissimo – schermo. Una condizione che viene spacciata come democratica, in quanto permette di godere di film prestigiosi a un prezzo moderato, ma che in realtà è esattamente il suo opposto. Perché il costo di un abbonamento in streaming è solo la parte minore di quella che dovrebbe essere la corretta fruizione cinematografica: chi può permettersi enormi e costosissimi televisori di ultima generazione, impianti audio di prestigio e stanze apposite per la visione avrà un’esperienza qualitativamente molto migliore rispetto a chi è costretto a fruire i contenuti su televisori piccoli e di scarsa qualità o su schermi di pc, tablet e, addirittura, cellulari.
Se per alcuni dei film citati il rapporto costi-benefici può effettivamente venire incontro alle scelte di distribuzione più conservative, quando si parla di titoli mastodontici come le ultime produzioni Netflix, la scelta appare più come un’ingiusta costrizione nei confronti degli appassionati di cinema con meno possibilità (economiche o logistiche). Spettatori a cui è stato impedito di godere al meglio della spettacolarità de La società della neve, come degli ultimi film di Snyder e Fincher. In un’epoca in cui si parla costantemente di privilegio e pari opportunità, soprattutto da parte delle Major cinematografiche, tutto ciò non appare solo come una grande ipocrisia?
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