È una melanconica commedia familiare L’arte della fuga di Brice Cauvin, in cui tutti i personaggi obbediscono al cliché sentimentale che predilige i rimorsi ai rimpianti, in una visione che sembra leggere qualsiasi scelta amorosa come compromesso e rinuncia a qualcosa d’altro. Protagonisti tre fratelli con temperamenti differenti ma tormenti sentimentali simili: uno è un divorziato che non trova pace, l’altro sta per sposarsi ma ama un’altra donna e il terzo sta attraversando un periodo di crisi nel momento in cui il suo partner gli propone di comprare casa insieme. Ne esce il ritratto di una famiglia disfunzionale, contraddittoria, in cui tre uomini confusi, molto legati tra loro e insofferenti, ma al tempo stesso subalterni, ai possessivi e invadenti genitori, sono alla ricerca dell’amore e della strada più giusta per essere felici. Il film, nelle sale italiane dal 31 maggio con Kitchen Film, è tratto dal bestseller americano di Stephen McCauley, The Easy Way Out, di cui il regista, in collaborazione con Raphaëlle Desplechin, ha riadattato dialoghi e situazioni per trasporli in un contesto francese. “Gli americani hanno una cultura differente, sono molto diretti, mentre i francesi si esprimono utilizzando molte più per metafore. Tutti i personaggi sono stati rielaborati ed adattati alla cultura francese, sono state anche aggiunte scene che non c’erano. La più grande soddisfazione l’abbiamo ricevuta dallo stesso autore che mi rivelato come L’arte della fuga gli sia sembrato l’adattamento più libero e al tempo stesso più fedele al suo libro”.
Tutti i personaggi del film – presentato al festival di France Odeon 2017 dove ha vinto il premio per il miglior doppiaggio – sembrano maestri nell’arte di sfuggire alle proprie responsabilità, più che altro per non deludere chi è vicino, e si muovono all’interno di una rete familiare affettuosa quanto soffocante, dove in apparenza tutto va bene ma in cui regnano segreti e non detti, un rifugio che può diventare anche fonte di violenza e limitazioni. “Il soggetto principale è proprio la famiglia – sottolinea Brice Cauvin – vista come un oggetto che obbedisce solo a regole affettive, senza alcuna logica. Il film racconta come questa affettività possa essere un paradosso e diventare anche distruttiva. Un argomento che mi interessa molto, tanto che Il mio prossimo film parlerà proprio della storia di una famiglia seguita per tre generazioni”.
L’elemento musicale, inoltre, riveste un ruolo importante nella pellicola, che già nel titolo fa esplicito riferimento all’omonima raccolta di composizioni firmate da Johann Sebastian Bach, come rivela il regista che sottolinea come la musica sia un elemento fantastico per esprimere ambiguità e contraddizioni: “In questo film ho cercato di dialogare con la melodia delle fughe, reinterpretate da storici gruppi Anni ’80, e con le melodie di Ravel, il più grande autore capace di lavorare sula melanconia, elemento che avrei inserito come centrale in un possibile secondo titolo del film che avrei anche chiamato La malinconia”.
Fanno parte del cast una serie di volti noti francesi, dalla protagonista di 50 primavere Agnès Jaoui al musicista e marito di Chiara Mastroianni Benjamin Biolay, a Nicolas Bedos, Marie-Christine Barrault, Guy Marchand e Laurent Lafitte nei panni di Antoine, personaggio che si fa carico di continuo dei problemi familiari, eppure nasconde una ferita che rifiuta di accettare e che lo rende malinconico. In apparenza è molto integrato nel suo quotidiano, ma alla fine scopre di essere un grande spettatore della propria vita che riesce a prendere in mano solo nel momento in cui decide di allontanarsi e fuggire.
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