Ventiquattr’ore nella vita di una famiglia barricata nella propria abitazione a Damasco, mentre la città fuori è devastata e sotto assedio. Risorse idriche limitate, assenza di mezzi di comunicazione con il mondo esterno, la paura costante delle bombe che minacciano di distruggere la casa, oltre al timore che ladri o cecchini possano da un momento all’altro far irruzione nell’appartamento per rubare, violentare o ucciderne gli occupanti, trasformando anche quell’unico posto parzialmente sicuro in un luogo di devastazione e di morte. È quello che succede nel film di Philippe Van Leeuw, Insyriated, vincitore del Premio del pubblico e del premio Label Europa Cinema a Berlino 67 dove il film è stato presentato nella sezione Panorama, che arriva nelle sale italiane dal 22 marzo con MoviesInspired. Un racconto quanto mai tragicamente attuale in un momento storico in cui ogni giorno ci giungono dalla Siria straziata da un conflitto che infuria da oltre sei anni, notizie di civili costretti a resistere in mezzo alle bombe o ad abbandonare le proprie case e il loro Paese cercando rifugio altrove.
“Perché guardi sempre fuori? Non dovresti pensare a quello che c’è al di là della finestra”, raccomanda uno dei protagonisti a Oum Yazan, la donna che cerca nel suo appartamento di proteggere in qualche modo dalla guerra la famiglia e alcuni vicini. Il tentativo di mantenere sommessamente, almeno all’interno delle quattro mura, quel sottile equilibrio della routine quotidiana, in una lotta per la sopravvivenza di persone comuni che vanno avanti un giorno alla volta, mentre anche i gesti più banali, aprire una porta o andare a prendere l’acqua sul balcone, possono diventare una questione di vita e di morte. “Quello che ho cercato di comunicare è la fragilità e la forza che possediamo quando siamo immersi in uno stato di pericolo. L’istinto che ci dà la resistenza per lottare al fine di sopravvivere e l’energia per auto-conservarci alle spese dei bisogni di altre persone mosse dagli stessi impulsi vitali e sbagli morali. Tuttavia non ci sono giudizi o prese di posizione morali, ma solo fatti disposti per esporre la cruda realtà”, sottolinea Philippe Van Leeuw, che ha una lunga esperienza come direttore della fotografia e che qui è al suo secondo lungometraggio dopo Le jour où Dieu est parti en voyage. “L’appartamento sembra come una bolla sul punto di esplodere, le ombre sono minacciose, il mondo esterno pare irraggiungibile, proibito. È come se i personaggi fossero seduti su un vulcano, tesi, irascibili, egoisti, e nonostante ciò provassero a mostrare empatia e compassione verso gli altri compagni”.
Buona parte degli interpreti del film sono rifugiati siriani, a dare ancora più consistenza e realismo a quelle immagini di conflitto moderno che il resto del mondo pare voler ignorare o allontanare dalla mente, mentre nei panni della madre Oum Yazan c’è Hiam Abbass nota soprattutto per la sua interpretazione ne L’ospite inatteso di Tom McCarthy e ne Il giardino di limoni di Eran Riklis, film per cui ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui una candidatura agli EFA, un premio dell’Israeli Film Academy e l’APSA come migliore attrice.
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