La donna del lago è un premio Oscar: Maddie Schwartz è Natalie Portman, protagonista della serie dal bestseller di Laura Lippman, creata e diretta da Alma Har’el, disponibile su Apple TV+ dal 19 luglio 2024 con i primi due episodi, dei sette complessivi: il rilascio per la visione procede poi settimanale, fino al 23 agosto.
La città di Baltimora, Stato americano del Maryland, è sconvolta: una ragazza è scomparsa e proprio in una data simbolo per gli Stati Uniti d’America, il giorno del Ringraziamento.
La donna del lago porta indietro nel tempo, è infatti una serie ambientata nel 1966: è sempre più prossimo un urto tra “due corpi”, la convergenza tra due donne avvicina alla collisione. Maddie è una casalinga ebrea, che s’adopera come reporter investigativa, sperando di uscire così dalla gabbia di un segreto passato; nel contempo, Cleo Sherwood (Moses Ingram) è una mamma affannata per mantenere la famiglia, nel vibrante cuore politico della Baltimora nera.
Due binari, due rettilinei paralleli destinati a non sfiorarsi, parrebbe: Maddie si unisce alle ricerche della scomparsa, si affida al suo istinto e così scopre qualcosa che le frutterà un impiego nella redazione di un quotidiano locale; è così che s’appassiona al caso di Cleo, afroamericana trovata cadavere in un lago cittadino. Se fosse stata una bianca, Baltimora avrebbe scalpitato per occuparsi della storia, mentre una nera merita a malapena un trafiletto nelle retrovie dei giornali: Maddie, paladina, comincia la sua indagine.
Come il romanzo, anche la serie è un thriller che aggancia e fa aumentare la temperatura dell’attesa, della svolta, del mistero: tocca con consapevolezza il (genere) noir e racconta il femminile, senza retorica, riuscendo a ripetere l’efficace passo dinamico della narrazione letteraria originale. Ci sono suspence, razzismo, spirito del tempo: atmosfere e tematiche che sembrano appartenere al tono del racconto, a quello specifico luogo, a quel precipuo periodo, ma che – in fondo – sono attualissime, nella quotidianità, come nella fantasia narrativa.
Le parole di Alma Har’el, dalle sue note di regia. “Quando l’indimenticabile Jean-Marc Vallée, riposi in pace, e il suo socio produttore, Nathan Ross, mi hanno consegnato il bestseller di Laura Lippman non sapevo bene perché credessero fossi la persona più adatta a farne una trasposizione. Mi piaceva guardare le trame complesse, soprattutto quelle che si basavano su emozionanti colpi di scena e cliffhanger: sono sempre stata più interessata a dirigere personaggi e film di genere. Tuttavia, il tema del prezzo che si paga per realizzare i propri sogni, e la perdita dell’innocenza che ne consegue, risuonavano profondamente dentro di me. Ho capito che Jean-Marc volesse che prendessi questo libro e ci mettessi dentro tutto quello che volevo e che Laura Lippman avesse dato la sua benedizione perché lo facessi. Mi hanno esortato a leggere il libro e mi hanno fatto sapere che Natalie Portman era stata scritturata per interpretare Maddie, nel suo primo ruolo televisivo, e che sarebbe stata produttrice della serie. Leggendolo, sono rimasta colpita dalla complessità della trama. I fili di misteriosi omicidi, le diverse prospettive dei personaggi che affrontano gli sconvolgimenti sociali e le trasformazioni personali si fondono per coniugare il contesto storico con il fascino avvincente di un thriller investigativo, con il riflesso delle correnti sociali che hanno plasmato la vita di molte donne in quell’epoca. Ho voluto cambiare stilisticamente il libro e girarlo come un noir febbrile, che sovvertisse l’allegoria classica della femme fatale. Invece di rappresentare le donne come figure seducenti il cui fascino intrappola i loro amanti nel pericolo, le ho ritratte come protagoniste a tutti gli effetti, complete di poteri, difetti, punti di forza e vulnerabilità. Maddie era profondamente stratificata di contraddizioni. Era caratterizzata dall’incessante voglia d’indipendenza e dall’ambizione di diventare una scrittrice, alla ricerca di una comprensione più profonda di se stessa e del suo posto in una società in rapido cambiamento. Era moralmente ambigua e, in quanto donna ebrea, esplorava anche le sfumature dell’assimilazione nell’America bianca e le aspettative della società nei suoi confronti. Tutto ciò la rendeva molto sola e, a volte, insopportabile. Sapevo che Natalie fosse in grado di camminare su quella corda tesa e questo aspetto mi ha affascinata. Il libro si apre con Cleo raccontata postuma, come se fosse un fantasma. Anche se questo ha aggiunto una qualità mistica al personaggio di Cleo e ha approfondito l’esplorazione tematica della voce e della visibilità di donne come lei, volevo passare più tempo con il suo personaggio e capire cosa l’avesse portata alla morte, dalla sua prospettiva. Non dimenticherò mai quando ho incontrato Natalie per la prima volta. Abbiamo subito convenuto che lo spettacolo avrebbe funzionato solo se avessimo potuto re-immaginare il personaggio di Cleo. Questo ci avrebbe permesso di esplorare i limiti dell’empatia e le lacune nella comprensione tra individui di diversa provenienza, umanizzando allo stesso tempo il motivo per cui ci succede sempre. Ho trascorso i sei mesi successivi facendo ricerche ossessive sullo sfondo storico di Baltimora degli Anni ‘60. Questa era una Baltimora mai conosciuta e, come documentarista, volevo catturare i dettagli della vita di tutti i giorni, che avrebbero potuto sfuggire ai libri di Storia. Poi ho formato una writer’s room composta principalmente da donne nere. Le discussioni erano tese e richiedevano uno sguardo multidimensionale sui temi dell’assimilazione, dell’identità e della resistenza. Questi elementi invitano gli spettatori ad approfondire il mistero centrale della storia. Ci sfidano a cercare il meraviglioso in un mondo che ha le sue idee preconcette su chi siamo”.
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