125 milioni le persone al mondo esposte all’amianto sul posto di lavoro. 100.000 le vittime all’anno. Da questi ancora tragici dati si sviluppa il film d’esordio di Ivan Gergolet, L’uomo senza colpa, premio Ettore Scola per la Miglior Regia al Bif&st 2023 e nelle sale italiane dal 22 giugno con Arch Film in collaborazione con Athena Cinematografica.
Un racconto doloroso, che pretende giustizia per le vittime dell’Eternit, ma che all’urlo disperato per una tragedia mai risanata interpone un intreccio umano posato tra i fuochi ardenti di vendetta e perdono. Attraverso le sofferenze delle vedove degli operai conosciamo Angela (Valentina Carnelutti), addetta alle pulizie in un ospedale di Trieste che riesce a introdursi in casa dell’ex datore di lavoro del marito in cerca dell’atteso regolamento dei conti. È lui l’uomo “senza colpa”, salvato dalle sfumature della giustizia ma non dimenticato dai sopravvissuti alla polvere tossica delle tute indossate nei cantieri e per anni portate a casa da famiglie ignare e condannate alla malattia.
“Sebbene il pericolo amianto sia noto fin dagli anni ’30, è sempre stato nascosto o sottovalutato, soprattutto per motivi di profitto”, ha raccontato Gergolet. “L’uso sistematico di questo materiale ha creato un’ampia zona grigia in cui le responsabilità delle lobby e degli individui sono diventate confuse, al punto che sembra quasi impossibile dimostrare la loro colpevolezza nei tribunali. Le sentenze vengono bloccate (ecco perché ho scelto questo titolo per il progetto), a causa dell’enorme quantità di tempo necessaria per i processi. Il film si svolge esattamente all’interno di questa zona grigia”.
La storia ambientata a Monfalcone alterna il grande dramma gravato sulle famiglie vittime dell’amianto ai piani di Angela, tentata da una vendetta vicina e possibile. Nella casa dell’uomo dalle tante colpe ritrova l’opportunità di rendere onore al marito, ma resta in tensione, tra dubbi etici e riflessi rabbiosi. Valentina Carnelutti recita tra lunghi silenzi e sguardi cupi un personaggio scheggiato dal dolore, rapito nei gesti da Gergolet che mette su confini assoluti la propria storia, divisa sin da subito anche dall’ambientazione triestina, terra di frontiera e contaminazione.
“Sono nato e cresciuto in un’area del nord-est italiano, proprio al confine con la Slovenia, dove l’amianto sta facendo una strage”, racconta il regista. “In alcune città e paesi, quasi tutte le famiglie hanno almeno una persona che è stata esposta alle polveri di amianto e rischia di ammalarsi. Anche mio padre, che da giovane ha lavorato in un importante cantiere navale, ha respirato le polveri ed è a rischio, come tutta quella generazione di lavoratori”.
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